TEOLOGIA LAICA

IL DILEMMA CRUCIALE DELLE DONNE

di Eugenio Delaney (Teologo)

Sottolineo tutte le affermazioni di questo articolo di Roberta Gargiulo, scritto indubbiamente con lacrime e sangue, con la pelle d’oca, col cuore, con tutta l’anima, e condivido l’indignazione davanti al moltiplicarsi di casi di violenza perpetrati con una virulenza e ferocità inaudite.

Anch’io, soprattutto da uomo, mi sento chiamato in causa, a fare qualche cosa, a non voltarmi dall’altra parte, a non tacere davanti a una supremazia maschilista usurpata abusivamente nel corso della storia.

Prendo spunto dalla foto che illustra il nostro lavoro a quattro mani per utilizzare deliberatamente la parola “cruciale” nel titolo del mio contributo specifico.

Perché di questo si tratta: la drammatica situazione attuale della donna affonda le sue radici in un’ancestrale dilemma tra il sublime e l’irrilevante, che qualifichiamo come dilemma “cruciale” perché la scelta dei diversi popoli e culture per l’irrilevanza delle donne e la supremazia del maschio ha messo in “croce” le donne, perpetrando una vera e propria “crocifissione” della loro grandezza primigenia.

Per rendere più chiaro l’impatto devastante di questo dilemma cruciale può essere particolarmente utile ricordare il contributo offerto dallo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961) alla psicologia (e alla sociologia) con l’individuazione nella psiche umana di condizionamenti ancestrali designati come “archetipi”.

Sono forme di rappresentazione a priori, modelli elementari di comportamento e rappresentazioni derivanti dall’esperienza umana in tutti i tempi della storia.

Una “forma mentis”, una mentalità congenita, una predisposizione a pensare in un modo determinato, che configurano un inconscio collettivo con un peso non indifferente a livello comportamentale.

Le domande sono due: può darsi che il dilemma cruciale delle donne, che attraversa la storia di popoli e culture dalla notte dei tempi, sia diventato un vero e proprio archetipo personale e sociale?; ed è possibile determinare storicamente il percorso del dilemma cruciale discriminatorio contro le donne e favorevole alla supremazia maschile fino a stabilirsi come archetipo nella psiche delle persone e nell’ethos dei popoli? Proviamo.

C’era una volta…

Tutto comincia nelle fertili terre mesopotamiche. Fecondate dai mitici fiumi Tigri ed Eufrate, quelle terre non solo avevano dato vita a attività agricole avanzate ma anche stimolato sviluppi culturali notevoli nelle popolazioni residenti, che si traducevano in organizzazione sociale, creazione di istituzioni, pratiche, costumi, tradizioni.

Se la Grecia può chiamarsi con ragione la “culla del sapere filosofico”, la Mesopotamia è sicuramente la “culla del sapere esperienziale”, di quel sapere che viene dalla meditazione, l’ascolto, l’intuizione, l’introspezione.   

Tra questi popoli emerge Israele e, assieme a sua storia umanamente allucinante, prende forma il suo libro fondante, la Bibbia. Un libro laico che raccoglie la vita e il pensiero del popolo di Israele e di altri popoli, prima di essere un libro religioso preso come parola di Dio.

Su questo libro mi soffermo, perché contiene contributi fondamentali sull’argomento che ci occupa (la donna, il rapporto uomo-donna, il dilemma cruciale delle donne) e perché su questo libro si basano le tre religioni praticate dalla metà della popolazione umana attuale: cristiana (29,6 %), musulmana (23,1 %), ebraica (0,2 %).

Sentiamo la Bibbia sull’uomo e la donna:

Prima versione (Gn 1, 27-28): “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela e dominate…”.

Seconda versione (Gn 2, 7; 21-23): “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente… Il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.

Allora, l’uomo disse: Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”.

Che bellezza! Si sente tutta la freschezza mesopotamica, la fecondità del loro agire e pensare, la saggezza delle mitologie ancestrali maturata in un testo semplice e complesso allo stesso tempo.

Se analizziamo le due versioni si vede chiaramente la differenza e, al contempo, la complementarietà. La prima versione si trova nel primo capitolo della Genesi che inizia con un’espressione classica molto significativa: “In principio” (En-archè).

Con questa espressione si fa riferimento all’essere primordiale delle cose descritte in seguito, a come sono nella loro verità e nel disegno dell’autore che le ha create.

Sulla vera realtà dell’uomo dichiara che è stato creato maschio e femmina (“maschio e femmina li creò”) e, come tale -maschio e femmina- è immagine di Dio. Questo è  l“archetipo” (en-archè) enunciato nella Bibbia.

La seconda versione, letta alla luce della prima, è di una dolcezza e tenerezza toccanti. E’ una poesia, e va letta come tale. L’artigiano che plasma l’uomo dall’”humus” della terra e la donna dalla costola dell’uomo.

Poeticamente, la costola rappresenta il cuore, la sede delle emozioni e dei sentimenti, che l’uomo esprime con una sensazione di pienezza e di completezza (perché senza la femmina il maschio non era uomo; la sua relazione con la femmina non era una relazione solo complementare, ma costitutiva, d’accordo alle affermazioni categoriche del capitolo fondamentale dell’archè (nel principio).  

Questo è il testo biblico, il testo di un libro non certamente trascurabile, in quanto è il libro sul quale si basa la cultura cristiana, islamica e ebraica. Invece, se si osserva la storia di queste culture e la loro interpretazione e applicazione delle affermazioni bibliche ricordate viene da chiedersi: che Bibbia hanno letto?

Perché infatti nelle tre culture è prevalsa chiaramente la supremazia maschile. Al punto che potrebbe dirsi o sospettarsi che l’archetipo della supremazia del maschio, così radicato nella psiche delle persone e nell’ethos dei popoli di metà dell’umanità, si debba a una lettura sbagliata della Bibbia, con conseguenze nefaste.

Lettura gravemente sbagliata nel senso che l’ordine dei capitoli della Genesi sembra sia stato invertito: il capitolo secondo (quello della “costola”, per intenderci) ha occupato il posto del capitolo primo, il posto e l’importanza del capitolo che stabilisce come erano le cose “nel principio” (en-archè); e il capitolo primo (quello del maschio e femmina li creò a sua immagine) è passato al posto del capitolo secondo, al posto delle affermazioni bellissime e poetiche, ma complementari e secondarie in ordine di importanza.

Prendere atto di questo percorso culturale aiuterebbe a capire meglio la patologia attuale della società e, soprattutto, a calibrare adeguatamene la sua portata, che non consiste in una lesione superficiale ma in un vero archetipo ancestrale radicato nel profondo della psiche personale e dell’ethos dei popoli. Una comprensione adeguata della patologia favorirebbe la sua terapia.

E vero che oggi la Bibbia non ha l’incidenza sociale che aveva nel passato, anche se gli effetti di una sua lettura sbagliata o parziale sussistono.

Il superamento del dilemma cruciale (protagonismo condiviso di un unico soggetto uomo-donna o supremazia unilaterale del maschio) l’umanità lo cerca oggi mediante approcci più laici e secolaristi che religiosi.

La promozione dei diritti umani, la difesa dei diritti della donna e della parità con l’uomo stanno all’ordine del giorno nella società civile.

Comunque, in questo lodevole sforzo aiuterebbe non poco una rilettura laica della Bibbia, una rivisitazione dei saggi mesopotamici che “sentivano sulla pelle” la meravigliosa dignità della donna, e la enorme potenzialità del maschio e femmina in quanto soggetto indivisibile creato a immagine del creatore.

Per passare finalmente del buio del dilemma cruciale all’alba della liberazione definitiva della donna.

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