Il Benessere con un tocco di penna

Il libro del mese

Rubrica di letture scelte per voi da Benessere con un Tocco per la costante esplorazione dell’IO  e del corpo


Mattino e Sera di Jon Fosse, La Nave di Teseo 2019, pag. 152 € 16.00

Un bambino nasce, un uomo vecchio muore. Il romanzo, “Mattino e sera” – è tutto qui, una riflessione esile eppure profondissima sul senso della vita e del tempo che ne fa parte.

In copertina un paesaggio nordico, ghiacciato dove il mare è protagonista.

Così già dalle prime righe del romanzo troviamo il mare, una narrazione sospesa, senza punteggiatura, un flusso continuo.

Tutto scorre liquido, senza direzione.

Prendete fiato e leggetelo dall’inizio alla fine perché questa storia non ha bisogno di interruzioni, non vi accorgerete di averlo finito “…e poi l’urlo chiaro e nitido è chiaro e nitido come una stella e poi come un appellativo un significato un vento questo respiro un respiro tranquillo e poi calma calma movimenti tranquilli e il panno morbido e il biancore non così vecchio”.

L’autore parla di cose che ognuno di noi già sa, sappiamo quello che conta, dove sta la ragione, da che parte sta il tempo, che cosa ne facciamo dell’amore, che cosa dovremmo pensare nel momento della nostra uscita dalla vita.

Ci accorgeremmo, come fa il vecchio, che gli oggetti hanno una consistenza diversa da come l’abbiamo immaginata solo qualche tempo prima, quando l’idea della morte neanche ci sfiorava, oppure quando siamo nati.

Le parole registrano i pensieri dei protagonisti, il passaggio da una sensazione a un’altra, una oscillazione sismica tra il ricordo e il presente.

Prendo a prestito il bel commento di Pierpaolo Moscatello in una sua recensione che, a mio parere e certamente meglio di me, illustra l’essenza del romanzo.

“Ma una cosa meravigliosa in questo romanzo c’è: ed è il modo in cui Fosse mette in scena la morte.

Il presente di Johannes, negli attimi in cui sta lasciando la vita terrena, diventa onnipresenza di tutti i momenti del passato.

Il tempo si scompone – è possibile incontrare una ragazza che anni prima ha ignorato la nostra lettera d’amore, è possibile rivedere una moglie morta, i figli da bambini, sé stessi nelle varie sfumature assunte.

Non c’è un altro romanzo, secondo me, che racconta meglio il flusso immaginario e scomposto dei tempi della vita quando li pensiamo. Vale la pena, almeno per questo, prendere fiato e provare a tuffarsi.”

Buona lettura Francesco Marchese


Baumgartner di Paul Auster, Enudi 2023, pag. 153 € 17,50

Una volta leggemmo un libro su un tale cui avevano amputato una gamba. Tuttavia il tale la sentiva ancora, gli prudeva, gli faceva male. Era come se ancora l’avesse e il suo corpo integro. Baumgartner ha perso la moglie, un brutto incidente, non brutto, diciamo quasi incredibile. Per una sua cocciutaggine. Avrebbe potuto fermarla, ma lei faceva quel che voleva e a lui questo piaceva. L’avesse fermata avrebbe avuto ancora sua moglie ma non quella di prima, un’altra donna che non era più lei. Questa mancanza la vive come se ci fosse ancora, è ancora innamorato e il piacere e l’amore non sono diminuiti.

Ma il filosofo settantenne Baumgartner deve pur andare avanti, innamorarsi di nuovo per esempio o continuare con la sua goffaggine a farsi male con piccoli incidenti domestici. Fa la corte a un’altra donna ma più per dovere di maschio, raccoglie scritti e foto della defunta signora, poesie mai pubblicate che intende recuperare e stampare. Storie, dentro altre storie. Vite umane che si compongono o si disgregano in una narrazione più complessa, che si frammenta nelle vite di chi l’ha preceduta, di chi la seguirà e di chi incontra. Un intrecciarsi di esistenze e casualità delle circostanze.

Oppure macchine impazzite, quelle di un saggio sull’Intelligenza Artificiale che Baumgartner sta scrivendo. Scrivere richiede un grande sforzo e un grande sforzo richiede grande concentrazione. Cosa che il protagonista sembra avere ma a volte perdere. A volte è solo come una monade, altre cerca disperatamente il contatto con i vicini.

Seymour Baumgartner, per gli amici Sy, nella vita è stato fortunato, ha incontrato l’amore della sua vita Anna Blume, troppo presto perduta. Eppure, l’assenza di qualcuno non è, in fin dei conti, un vuoto. È uno spazio denso di memoria, dove un ricordo riporta a un altro ricordo.

Come nel paradosso della freccia di Zenone, Baumgartner si muove su e giù per la sua casa, ma non arriva mai da nessuna parte, in ogni istante è immobile, la testa altrove. Può essere l’età o il dolore, che gli fa perdere il filo delle azioni da compiere, può essere una folla di pensieri che si rincorrono e quasi mai si ritrovano.

Per questo, dove il dolore arriva inaspettato, la memoria è l’unico soccorso. Finché noi siamo in vita, chi è morto vive con noi, da lì l’attaccamento che Sy ha tutto sommato verso la sua quotidianità, lo slancio verso novità che gli permettano di continuare a ricordare il suo unico amore.

Finito il romanzo, Paul Auster ha scoperto di essere malato. In una intervista ha detto che Baumgartner potrebbe essere il suo ultimo romanzo. Ma ha anche chiesto alla sua malattia che l’ha sorpreso come un intruso nel suo corpo “Portami dove vuoi”.

Buona lettura Francesco Marchese


Gentiluomo in mare di Herbert Clyde Lewis, Adelphi 2023, pag. 141 € 13,00

 Mettiamoci d’accordo. Ci hanno sempre detto che copiare è una brutta cosa, un’azione che non si deve fare poiché si mancherebbe di rispetto all’idea originale e a chi l’ha concepita. Oltra ad abbassare l’autostima di se stessi, se il copiatore sentisse dentro di se qualche sottospecie di vergogna.

Tuttavia guardando alla letteratura e non solo ci sono stati fior di copiatori, per esempio se non ci fossero stati i monaci amanuensi non avremmo oggi letto Aristotele. Ma loro erano fotocopiatori, non copiatori ispirati. Questi ultimi si appropriano, rubano per meglio dire, le idee di altri, le trasformavano e le fanno diventare proprie.

Un esempio su tutti, il buon amatissimo Shakespeare, se vi sembra poco. Questo per dire che tutte le storie si somigliano e rivelano in filigrana una stessa verità e, senza risultare banale, tutte le storie sembrano essere il plagio di altre ovvero la letteratura non è una linea discontinua di storie a sé stanti ma è un unico grande libro che parla e rivela aspetti personali della gigantesca trama dell’esistenza umana.

Ho cominciato a scrivere pensando che avrei copiato di sana pianta la bella postfazione al libro che leggeremo nel nostro gruppo di lettura e poi mi sono perso, come spesso mi capita.

Andiamo per ordine.

Il libro che leggeremo è “Gentiluomo in mare” di Herbert Clyde Lewis. 

Ambientato negli anni trenta del secolo scorso la storia racconta di un irreprensibile, appunto, gentiluomo in viaggio su un piroscafo nell’oceano Pacifico che per una sciocca imprudenza scivola e cade nell’immensità del mare. Per un malcelato senso di eleganza e per evitare una figura che lui giudica non degna del proprio modio di essere e di pensare, tarda a chiedere aiuto pensando che questo possa renderlo ridicolo agli occhi dell’equipaggio e degli ospiti in navigazione.

Quando finalmente si decide a gridare la nave è ormai lontana e nessuno può più sentirlo. Dunque si rassegna a passare, tra una considerazione e l’altra, la propria esistenza ammollo nell’acqua tiepida confidando nel fatto che presto o tardi si accorgeranno di lui e torneranno indietro a cercarlo.

E tutto quello che fa in mare, il suo modi di stare a galla, di nuotare, di aspettare, i suoi pensieri non fanno altro che definire una persona ben educata, conscia del proprio ruolo nella società, gentile con il prossimo, generoso con se stesso e con gli altri, una intima odissea tutta interiore, che a volte sfiora il ridicolo, analizzata con la complicità della solitudine del mare oceano.

In realtà, a parte il senso della smarrimento, a mio parere tutto nel racconto, perfetto nella sua semplice tragicità, riporta alla condizione umana che si rivela e viene riconosciuta solamente quando si perde l’equilibrio e si precipita nella solitudine di se stessi.

Buona lettura Francesco Marchese


La conferenza  di Lydie Salvayre – Prehistorica Editore, 2023, pag. 142 € 15

Un narratore si rivolge a un auditorio, che si intuisce essere molto qualificato, per raccontare e perorare la causa dell’arte della conversazione che, afferma, è destinata a scomparire a favore della comunicazione.

A suo dire, e come non essere d’accordo, l’impoverimento del linguaggio, è presente in tutti gli strati del tessuto sociale, e ciò è dovuto alla scomparsa o quasi della conversazione.

Viviamo sempre più spesso senza parlare. Significa forse che nessuna vita merita di essere raccontata? Viviamo senza parlare e presto vivremo senza vivere…” pag. 14.

Il nostro protagonista è difensore, a volte cinicamente ironico, di questo genere di linguaggio fornisce, per dar forza alle sue teorie, decaloghi molto gustosi e spesso grotteschi. Tuttavia, non se ne accorge ma il lettore sì, anche lui si lascia andare alla noia e alla retorica un po’ come i padri nobili del dialogo, Cicerone e Quintiliano per tutti.

Stiamo parlando del bel romanzo di Lydie Salvayre“La conferenza”, – Prehistorica Editore, 2023, pag. 142 € 15

L’autrice voleva un personaggio umano ma anche un po’ megalomane, come di fatto è, si crede campione della conversazione ma al contempo molto fragile, vive questa contraddizione che sembra non riuscire a risolvere. La bellezza della quotidianità, del discorrere semplice sparisce infatti nel dialogo tra lui e la moglie che, ci dice, è morta poco tempo prima. Lulù è il personaggio principale, evocato in assenza molte volte che il personaggio racconta anche in modo sgraziato e forse sciatto, con digressioni umoristiche, sarcastiche, tenere o malinconiche. Lulù-Lucienne rappresenta tutta la contraddizione di un rapporto amoroso, l’ambiguità tra sofferenza per la perdita e il sollievo di non essere più legato a una donna, libero dagli affetti.

C’è anche una critica esplicita al mondo letterario che spesso si parla addosso in modo narcisistico, gelosi come sono delle loro posizioni di potere dimenticando la prima regola dell’esistenza, saper ridere di se stessi prima di ridere degli altri.

Troviamo anche personaggi che incarnano i vizi dell’oratoria, per esempio il sig. Tribulet che incarna il vizio della retorica fine a se stessa, che non lascia spazio all’emozione che in questo caso rappresenta la verità.

Non ci si può dimenticare un esempio maestoso di conversazione auto referenziata, quella di madame Verdurin nella Recherche di Proust che fa della parola un mondo a se stante separata dai sentimenti più intimi. Mentre la verità in una persona si trova quando c’è corrispondenza tra quello che si dice e quello che si prova, tra parola e sentimento, quando si è nella condizione di aprirsi all’altro nella sua diversità anche prendendosi poco sul serio.

Infine uno degli elementi di una buona conversazione è il saper tacere, lasciare spazio all’altro, permettere al nostro interlocutore di esistere nella sua singolarità, sparire per poi ricomparire.

Buona lettura ! Francesco


Di vento e di terra di Andrea Pasqualetto e Lucio Trevisan, Solferino, 320  pagine, Euro 18.00 euro

Sono passati quasi trent’anni e, nella sua tragicità, il suicidio di Raul Gardini resta una delle pagine più buie del periodo di mezzo del Paese, tra il vecchio modello della politica italiana e quella, imbellettata e sotto i riflettori, nata con l’irruzione di Silvio Berlusconi .
Gardini nei ristretti ed elitari circoli della finanza restava il ”contadino”, un soprannome che in un certo modo rendeva onore al suo senso pratico. Un approccio agli affari che, almeno inizialmente, ne connotò le mosse per lasciare, poi, il posto ad una ambizione che, senza alcun freno, lo portò al dissolvimento del suo impero economico, fino all’autodistruzione.
Una vita, la sua, condotta sempre al massimo, che lo portarono a cercare di affermarsi ovunque, compresa la vela, con il sogno del ”Moro”, tramutatosi in un delirio di perseguita onnipotenza. Poi la resa dei conti, l’epilogo che affidò ad una pistola che si puntò alla tempia, sparandosi il 23 luglio del 1993, sapendo che, di lì a poco, avrebbe sentito bussare alla sua porta qualcuno arrivato per arrestarlo.

Questo libro mi è piaciuto molto da un punto di vista sia storico, perchè narra della vita di un personaggio che ha fatto parte della mia storia, della mia epoca e sul quale sapevo poco. Mi è anche piaciuto sapere qualcosa in più sulla sua persona anche a livello privato, come marito, come padre e come amico.

Leggendo il libro ho paragonato Gardini ad una sorta di Cesare, eclettico, intelligente, inquieto, una persona che andava ben oltre … ben oltre se stesso, gli altri e soprattutto la società ma purtroppo spesso questi personaggi finiscono stritolati dai loro stessi grandi sogni come è successo a Raul Gardini. 

Consiglio di leggerlo a tutte le persone che sono interessate a conoscere meglio il nostro paese, l’Italia dove e purtroppo tutto parte sempre da favoritismi, tangenti e discapito molto spesso del ben comune e dai veri talenti personali.

Una storia umana che resta ancora anche oggi  difficile capire come un uomo delle capacità imprenditoriali di Raul Gardini non abbia avuto la freddezza di fermarsi, accorgendosi che il castello delle sue illusioni era sul punto di crollare. E’ stato come se ad un certo punto non avesse colto che qualcosa stava andando per il suo verso peggiore mentre sarebbe stato saggio, ritirarsi e cambiare strada. 

Buona lettura ! Roberta


L’ultima cosa bella sulla faccia della Terra di Michele Bible, Adelphi 2003, 135 pagine, Euro 16.00

Buon pomeriggio, l’estate sta per finire, il favonio ha smesso di soffiare, poco alla volta, molto poco, l’aria rinfresca.
Il libro è appena pubblicato, fresco di stampa, come si dice. Poche pagine, 135 appena, dunque sembrerebbe facile, o meglio semplice da leggere. Tuttavia ci impegna perché il protagonista poco alla volta ci svela il mistero di chi nasce e vive ultimo. Inciampa sempre su tutto, come se non avesse voglia o potesse superare gli ostacoli di una vita disagiata. Anche per morire ci vuole abilità e fortuna, cose che non ha perché al suo posto muoiono un mucchio di persone innocenti. Un libro doloroso e potente che ci trasporta nella condizione di chi ha perso la capacità di comprendere cosa sia partecipare alla vita, ricevere una carezza oppure un abuso. Forse non c’è modo di difendersi o arrabbattarsi in un mondo che non si comprende e non comprende te.

“Come si può arrivare a tanto”, chiede il giornalista a Michael Bible, autore della versione originale Ancient Hours, a proposito di certi atti estremi narrati nel libro.
“Mai giudicare”, risponde. “Ci sono tante spiegazioni possibili dietro certi comportamenti folli…”.
Domanda lacerante, risposte incerte (I think… mi sembra… può darsi), e una più chiara: non giudicare.
(È dura, Michael. Te lo dico davanti al nostro dramma dei femminicidi, ad esempio).

Michael Bible è un giovane scrittore americano originario della Carolina del Nord. È un ex libraio presso Square Books a Oxford, Mississippi, e oggi vive a New York.
Su youtube trovate una sua interessante intervista, in inglese.

Buona lettura ! Roberta


La Ballata di Isa di Magda Szabo, Enaudi, 177 pagine, Euro 12.00 

Compie 50 anni uno dei romanzi più belli della scrittrice ungherese Magda Szabo, “La ballata di Iza”, Magda Szabo (1917-2007) è considerata una delle maggiori scrittrici europee del Novecento.

Enaudi ha pubblicato diversi libri suoi tra i quali  “La porta” che è stato proposto nel nostro Circolo Letterario. Quando ho letto questo libro mi sono innamorata di questa autrice ed ho deciso di leggerne un secondo libro:  “La ballata di Iza” che è altrettanto affascinante, quando “La Porta”. Non sono libri facili da leggere ma quello che donano,  ripaga altamente l’impegno nella lettura. I temi trattati sono sempre riconducibili ad ogni epoca e alla vita di ognuno di noi ed è per questo che per me sono davvero affascinanti.

La storia è tutta esistenziale, tutta scolpita nel groviglio misterioso dei sentimenti primari, dei legami familiari e affettivi. La protagonista del romanzo è “la vecchia” che ad un certo punto perde il marito che muore a causa di un tumore, da qui inizia la narrazione e la storia di questa donna e dei suoi legami  con  la figlia, medico affermato, che la inviata a trasferirsi a vivere da lei a Budapest.

La donna, “la vecchia” viene sradicata dai suoi affetti e dai suoi ricorda e la figlia, apparentemente generosa ed altruista, rivela una personalità complessa ed intricata sempre però molto accuratamente celata anche da una grazia fisica e quindi difficilmente riscontrabile.   L’intera vicenda troverà una sua soluzione solo alla fine e solo alla fine tutto diventerà chiaro.   Non sto a dire di più, vi consiglio di leggere questo bellissimo romando e di lasciatevi catturare dal suo  fascino  pieno di severa bellezza e di compassionevole tenerezza. E’ scritto benissimo, i personaggi prendono vita uno alla volta così che la storia viene continuamente rinarrata .

Emerge il tema  dalla fragilità umana e delle sue contraddizioni, il desiderio di fare del bene ma anche l’incapacità di poterlo fare veramente che porta il lettore a svuotarsi di giudizi personali ed aprirsi a questo narrarsi che non può fare a meno di risuonare dentro ognuno di noi.

Buona lettura ! Roberta


Finchè il caffè è caldo di Toshikazu Kawaguchi, Garzanti, 177 pagine, Euro 16.00 

Un posto speciale, che può fare anche un po’ paura, questo posto è una caffetteria in Giappone, che esiste da molto tempo e che ha un dono particolare.

Infatti, non si tratta di una semplice caffetteria, ma di un luogo in cui chi entra lo fa per capire dove e che cosa ha sbagliato. Un tavolino è preparato apposta per quella persona che sarà servita con del caffè. Mentre sorseggia la bevanda la persona potrà rivivere un momento cruciale della sua esistenza, capire che cosa ha sbagliato e provare ad essere migliore, da quel momento in avanti. Il tutto, però, deve avvenire prima che il caffè si raffreddi, come dice il titolo “finché il caffè è caldo”.

Ovviamente la caffetteria fa paura a molti, nel senso che non tutti hanno il coraggio di varcare la soglia e capire dove hanno sbagliato. Lo fanno alcune donne per capire meglio la loro vita, se stesse e comprendere la vera magia del luogo, ovvero la capacità di lasciare andare il passato e fare tesoro di quanto si è appreso, cercando di essere migliori, di avere più coraggio, più grinta per affrontare il presente ed il futuro.

Ognuna esce diversa dalla caffetteria, anche se l’esperienza nel tempo non può cambiare il presente, ma può cambiare noi stessi e rendere migliore la nostra vita e la vita di chi amiamo.

Un libro per me bellissimo sulle occasioni da cogliere al volo, ma anche sull’importanza di trasformarsi e diventare persone migliori, Ancora una volta un libro di donne con il desiderio profondo di trasformare se stesse ed il dolore anche se a volte la vita è dura ed ingiusta.

Cambiare le cose, non è facile ma potrebbe essere possibile,  basta solo avere un pizzico di coraggio e guardare nel e attraverso il dolore che spesso viviamo nelle nostre vite!

Buona lettura ! Roberta


Testa alta, e avanti di Gaia Tortora, Ed. Mondadori, 123 pagine, Euro 17,50 

Un libro che mi ha dato tantissimo soprattutto da un punto di vista umano, sul caso Tortora sapevo poco, avevo 16 o 17 anni e mi piaceva guardare Portobello ma quando il presentatore è stato arrestato non ho approfondito nulla .. ma sapevo che era successa una tragedia, anche se alla fine si era conclusa, ha comunque portato Enzo Tortora alla morte.

Quando ho visto questo libro, ho subito pensato di volerlo leggere perchè volevo capire qualche cosa di più sulla vicenda. Il libro scorre veloce nonostante l’argomento doloroso.

Gaia la figlia più piccola racconta la vicenda per come l’ha vissuta da bambina e per come questa vicenda ha profondamente cambiato il corso della sua vita e della vita di tutta la sua famiglia.

Inoltre è un bellissimo viaggio dentro l’anima della scrittrice, dove è impossibile non identificarsi e condividere con lei tante pagine.

Vi trascrivo solo un piccolo pezzo: “nel 1983 il sistema mediatico non si è fatto venire dubbi sull’opportunità di stravolgere la vita di una ragazzina di 14 anni, che è rimasta per ore sotto choc. Non c’era dolo, naturalmente, ma sciatteria sì. Mancanza di buon senso, sì. In fondo è tutto qui: essere attenti agli altri. Garbati, avrebbe detto mio padre. Di buonsenso, aggiungo io. Un atteggiamento che si può tenere solo se si smette di avere uno sguardo ombelicale, autoreferenziale, egoista, e si sceglie di essere consapevoli di far parte di una comunità. Non vale forse per qualunque ambito, per il giornalismo come nelle relazioni, per la riunione condominiale, per la gestione dell’eredità della nonna o la decisione di chi va a prendere i figli a scuola? .

Questo pezzo riassume in modo esemplare il libro, ma leggendolo ci sono tantissimi spunti di riflessioni e di auto analisi come questo! Per me è molto importante prestare attenzione all’altro e non basta una vita per imparare questo principio base di rispetto verso se stessi e verso chi vive intorno a noi! Libro da 9! Buona lettura ! Roberta


Un buon posto in cui fermarsi di Matteo Bussola, Ed. Enaudi, 151 pagine, Euro 16,50 

Dopo aver letto Il rosmarino non capisce l’inverno dove il tema principale era il femminile in tutta la sua complessità a unire una storia con l’altro, con Un buon posto in cui fermarsi ha come tema principale la fragilità maschile, fisica e/o psicologica.

Un libro davvero facile da leggere e soprattutto molto coinvolgente. I protagonisti sono 15 uomini di varie età, provenienza, idee, aspirazioni e vissuti profondamente diversi ma dove il tema comune è la fragilità in ambiti di vita tutti molto diversi fra loro.

I temi sono molteplici e che riguardano tutti noi, qualcuno si interroga sulla propria sessualità, più o meno soddisfacente e realizzata, qualcun altro sulla vita passata in un corpo “sbagliato”, sulla paternità torna in più sfaccettature  che prosegue anche quando i figli sono ormai grandi.

Anche i giovani e giovanissimi hanno un ruolo importante in queste storie dove esprimono il proprio disagio nel presente post-pandemico: c’è chi si chiude nella propria stanza senza più riuscire a uscire per strada o chi si procura tagli. Ed è difficile, quasi impossibile, che gli altri in famiglia capiscano cosa si sta attraversando. 

Lo stile è leggero, gradevole e trasmette tanto amore per la fragilità umana che riguarda tutti, sia uomini che donne  e non si può fare a meno di fare qualche riflessione sulla propria vita e sui propri valori. E’ solo attraverso l’accettazione di questa fragilità che possiamo trovare la forza di cambiare noi stessi e quello che non siamo più disposti ad accettare. 

In copertina vediamo un ragazzo sdraiato su un prato; bene, la natura è in effetti un tema che apre e chiude l’opera e si affaccia anche in storie intermedie. Il giardinaggio, la coltivazione non sono che una scuola importante per prendersi cura della terra, degli altri e, tutto sommato, anche di sé. 

Buona lettura Roberta


La Scelta di Alessandro, di Daisaku Ikeda, Esperia, 107 pagine, Euro 9.00

Piccole chicche sul significato dell’amicizia, tema sempre attuale e a volte equivocato.

Siamo nel 333 AC e Alessandro Magno si ammala gravemente e purtroppo niente funziona per aiutarlo a guarire.

Filippo, suo amico d’infanzia, diventato medico, prepara per lui una medicina che possa guarirlo, ma prima che il Re ingerisca la pozione, viene inviata al re una lettera da parte di uno dei suoi Generali, dove viene indicato che Filippo vuole in realtà ucciderlo e che la pozione è un veleno.

Cosa deve fare Alessandro Magno in questo drammatico frangente: credere alla lettera o credere alla lealtà del suo amico? L’amicizia ha un significato profondo oppure no?

“L’Amicizia che viene ricercata per convenienza o perchè offre dei vantaggi è un sentimento freddo ed egoistico. In questo caso, non si ama la persona in quanto tale, ma quegli aspetti di lei che ci fanno comodo, In altre parole, il proprio tornaconto viene scambiato per amizizia. Un rapporto di questo tipo è effimero e svanisce non appena i nostri interessi cambiano (Aristotole).

Ma allora quando un rapporto diventa VERA AMICIZIA?

Buona lettura Roberta

2 Recensione di La Scelta di Alessandro

Ho letto “La scelta di Alessandro” e la recensione fatta da Roberta, che finisce con una domanda-invito alla lettura:
“Allora, quando un rapporto diventa VERA AMICIZIA?”
Per me, questo piccolo scritto di Daisaku Ikeda (107 pagine ridotte, caratteri grandi di facile lettura) è un vero gioiello letterario su un’esperienza umana difficilmente paragonabile, l’amicizia.

Esiste? È possibile? La Bibbia la definisce un tesoro. Gesù, in un momento di grande emotività disse ai suoi compagni di viaggio: d’ora in poi vi chiamerò amici.

Ikeda, invece, fa parlare Aristotele. Quel maestro saggio che “parlava a bassa voce” (mi ricordo delle belle esperienze di questo tipo vissute nella comunità di Taizè), e con la voce bassa diceva cose profonde. “Oggi voglio parlarvi dell’amicizia. Che cos’è l’amicizia? Un amico è l’alter ego di una persona… come un secondo se stesso… una persona sola… una stessa causa”.

E nel contesto specifico dell’esperienza umana vissuta da Alessandro e Filippo, Ikeda raccoglie da Aristotele anche indicazioni chiare sulle condizioni di possibilità di una vera amicizia (un vero codice etico proposto quasi di nascosto, ma c’è). Comunque, resta chiaro che l’amicizia sia un vissuto umano non esauribile in definizioni apodittiche. Al punto che il titolo del libro potrebbe anche essere le parole iniziali del capitolo 5: “L’amicizia è… L’amicizia è…” (puntini puntini… e tanti).

Buona lettura! Eugenio Delaney Teologo


ANNALENA, di Annalena Benini, Einaudi, 2023, 145 pagine, Euro 17,50

Il libro di Annalena Benini, nuova direttrice del Salone Internazionale del Libro di Torino appartiene, secondo me, al genere agiografico, dato che tratta della biografia di una missionaria laica in Somalia, dove fu assassinata nel 2003, ed è considerata popolarmente come una santa. L’autrice era cugina della missionaria Annalena Tonelli.

Un primo commento è sullo stile di questa agiografia. In effetti, a differenza di tante altre, non si limita a segnalare enfaticamente le virtù della protagonista, ma anche analizza criticamente la complessità della sua vita e delle sue scelte, in una sorta di dialettica che costituisce un valore aggiunto al lavoro intrapreso. “Capisco quanto è stato difficile avere a che fare con Annalena. Assoluta intransigenza e assoluta dedizione. Un cervello che funziona velocissimo, un cuore ancora più veloce, che va al galoppo, e a luce della fede in Dio. Nessuno spazio per le illusioni su come diventare buoni. Ma anche il fastidio per tutto il resto, per tutto quello che è poco importante, per le cose che interessano agli altri, e a lei non interessano mai o quasi mai. Una volta ha scritto: io debbo stare lontana dal mondo. Io muoio nel mondo. Sono tutti pieni di problemi che in effetti non esistono. Si riferiva al nostro mondo, al mio mondo in cui lei a venticinque anni non riusciva più a stare – lo stesso mondo in cui io a venticinque anni non desideravo altro che entrare”.

“Annalena è entrata nella mia vita, ma io non sarei mai entrata nella sua”.

Una dialettica chiarissima e forte che fa di questo libro un libro intenso e bruciante. Prima di tutto per le contraddizioni che ha vissuto Annalena Tonelli nella sua vita. Un amore per gli altri senza misura, assoluto, esagerato. Un amore carnale (e al contempo disincarnato), concreto, materno. Un amore sofferto, ma bellissimo, pieno. E allo stesso tempo un disprezzo viscerale per il mondo, per il nostro mondo, per la vita ordinaria, la vita normale. Non voleva essere guardata, intervistata. ‘Non una come noi’, verrebbe da dire. ‘Sembra una persona normale, ma non lo è’, diceva un anziano somalo. E invece, voleva essere capita, sostenuta. Amava l’amicizia, la cercava. In particolare quella della “sorella dell’anima”, l’amica del cuore, Maria Teresa, che l’aveva accompagnato qualche anno in Africa (Sancho Panza e Don  Quixote, diceva giocosamene), e poi era tornata a Roma.

Annalena Benini sperimenta nella sua vita una forte scossa davanti a quest’immagine estrema e radicalizzata. Ammira il suo schema mentale, il modo di pensare o, meglio, le ragioni del suo cuore. Ma non la segue. Lei è lei, io resto io: “Voglio essere buona. Perché? Voglio essere ciò che ammiro. Perché non vuoi essere ciò che sei?”

In questa agiografia la Benini vuole capire la radice del fenomeno che quella vita rappresenta. Da dove emerge questa volontà così decisa a giocarsi per gli ultimi e, addirittura, a innescare una “rivoluzione dell’umano”? Com’è possibile che questo avvenga in un essere umano? Come si spiega un comportamento così lineare di dedizione totale e assoluta agli altri in un contesto violentemente ostile alle donne, ai bianchi, ai cristiani, che non le ha risparmiato l’esperienza del sequestro, la tortura e le vessazioni?

La risposta convinta Annalena Benini la trova nella condizione di donna di Annalena Tonelli. La forza dell’essere donna è un aspetto chiave in questa agiografia. Ricordando figure importanti del secolo scorso, tra le quali Simone Weil, Etty Hillesum, Hannah Arendt, Virginia, Woolf, Emily Dickinson, Oriana Fallaci, Natalia Ginsburg, dice con chiarezza che “il pensiero radicale del Novecento è un pensiero femminile”. Molti spunti permetteranno approfondire questa affermazione drastica e sorprendente, come potranno scoprire le lettrici e i lettori. Questi ultimi troverebbero anche un materiale analitico non trascurabile per la loro riflessione e autocritica.

Buona lettura! Eugenio Delanay Teologo


AVE MARY – e la Chiesa inventò la donna, di Michela Murgia – Einaudi, 2011 e 2012 – 166 pag. – Euro 11,00

“Dovevo fare i conti con Maria, anche se questo non è un libro sulla Madonna. È un libro su di me, su mia madre, sulle mie amiche e le loro figlie, sulla mia panettiera, la mia maestra e la mia postina. Su tutte le donne che conosco e riconosco”.

Con queste parole semplici presenta il suo libro Michela Murgia, nata a Cabras nel 1972, e attualmente afflitta da una grave malattia. È un libro destinato al grande pubblico, non a specialisti; ma è un saggio ben documentato e, allo stesso tempo, accessibile. Sulla tematica direi che è un po’ più ampia di quella che dichiara, perché parla delle donne ma anche della Madonna (‘Ave Mary’), la Chiesa (‘e la Chiesa inventò la donna’), la Bibbia (Genesi e Vangeli), e la cultura evangelizzata con quei testi.

Non è un libro polemico, ma rigorosamente critico. Confronta diverse letture che sono state fatte dei testi e le conseguenze derivate da esse. Conseguenze così determinanti per l’immagine della donna che giustificano il sottotitolo (la Chiesa inventò la donna).

Alcuni esempi: il Fiat della Madonna letto e proposto come paradigma di un atteggiamento sottomesso, di un consenso sempre pronto, quando potrebbe leggersi come un atteggiamento “sovversivo” di una ragazza che risponde senza consultare nessuno, contrariamente alle norme sociali in vigore. Altro esempio, la pericope “Stabat iuxta crucem Jesu mater eius”, interpretata sempre come “stabat mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa” e non invece come “stabat iuxta crucem = era in piedi accanto alla croce” (donna forte e resiliente). Interpretazioni arbitrarie che hanno contribuito a “inventare” donne obbedienti, sottomesse, chiamate a soffrire (potente anche la critica all’interpretazione di Eva, come responsabile del peccato originale e delle sue conseguenze).  

È il libro di una militante, di una donna che non sta a guardare la storia ma che vuole cambiarla “dalle radici”, criticando la lettura sbagliata dei testi che hanno dato luogo a una “storia falsa” radicata nella cultura evangelizzata con quei testi. E vuole cambiare questa cultura dominante promuovendo un’azione congiunta con gli uomini, convinta che “da questa storia falsa non esce nessuno se non ci decidiamo a uscirne insieme”.

Come era da aspettarsi, il testo ha ricevuto critiche negative e critiche positive. L’Osservatore Romano prima l’aveva accolto favorevolmente e, successivamente, lo ha svalutato. Il Coordinamento teologhe italiane l’ha apprezzato e promosso. Ai lettori e alle lettrici la loro sentenza.

Buona lettura! Eugenio Delanay Teologo

Age Pride per liberarci dai pregiudizi sull’età, di Lidia Ravera, Einaudi 2023, 101 pagine, Euro 13.00


Lidia Ravera, 72 anni, ci offre quest’anno un libro impegnativo, maturato all’interno della propria esperienza del tempo che passa inesorabilmente e sfocia in una nuova realtà sociale, l’affollata generazione degli over sessantacinquenni.

Più che un libro, sembra una lettera aperta (senza indice né capitoli) e, a volte, un manifesto (un fiume in piena). I destinatari potrebbero essere tutte le persone della terza e quarta età, ma sono soprattutto le donne: “Sto parlando alle donne, soprattutto alle donne”. Quando parla anche agli uomini utilizza il “femminile universale che comprende anche i maschi”. Le sue riflessioni fanno parte di un progetto operativo più ampio e universale: “Sto provando a contattare quegli oltre quattordici milioni di persone, gli over sessantacinquenni italiani, che mi stanno a cuore”. Il progetto va prendendo forma nei Senior Caffè.

Il messaggio di Lidia Ravera appare chiaro già dal titolo (“Age Pride” = Orgoglio dell’età) e dal sottotitolo (‘Per liberarsi dai pregiudizi sull’età’). Un messaggio chiaro e opportuno che emerge in un contesto socio-culturale nuovo caratterizzato da una crescente consapevolezza sociale del fatto che gli over sessantacinquenni siano la prima generazione (quattordici milioni di persone in Italia) a sperimentare la terza e quarta età.

Un fenomeno che ormai non può considerarsi un’emergenza, ma una realtà normale. Davanti alla quale, però, le reazioni sono diverse. Molte persone, in particolare donne, soffrono molto e troppo i cambiamenti che comporta l’invecchiamento. Tendono a nascondersi e a sparire, vittime di tanti pregiudizi. Anche donne che nell’età giovanile militavano all’avanguardia di lotte politiche, sociali e culturali.

Age Pride è un invito a reagire contro questo atteggiamento di resa, stimolando le donne a valorare gli anni vissuti, a sentirsi orgogliose delle sperienze vissute, e a prendere la nuova età come una nuova opportunità e una grande provocazione. Segnalo solo tre orientamenti, tra tanti altri, che Lidia Ravera ci tiene a raccomandare per affrontare da vincitrici la sfida della terza e quarta età: promuovere il dialogo intergenerazionale, imparare a vivere da soggetti, inventare nuove iniziative e, soprattutto, inventare se stesse. E se stessi!

Buona lettura! Eugenio Delanay Teologo

Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci – Feltrinelli – Euro 12,99  – pagine 100


Avevo 16 anni quando mi fu regalato il libro “Lettera ad un bambino mai nato” di Oriana Fallaci e lo lessi tutto d’un fiato. Due giorni fa, d’stinto, ho deciso di rileggerlo nuovamente perchè, come tutti i libri che lasciano un segno, ho sentito il richiamo a cercarne dentro risposte che in passato potevano essermi sfuggite o, semplicemente, non potevano ancora esserci per me.

Il linguaggio, a volte così profondamente crudo, in me ragazzina aveva aperto un cratere di emozioni, il dolore latente, soprattutto dopo la prima metà del libro, che, a tratti, si percepisce addirittura a pelle (e che solo anni dopo, sperimentandolo, ho potuto comprendere appieno), il ritmo incalzante, l’avvicendarsi degli eventi in un crescendo inesorabile che spinge a girare pagina senza soste e distrazioni….tutto mi ha catturato e “destato” all’epoca dal mio mondo fatato, segnando forse, senza che ne avessi nemmeno la consapevolezza, uno dei primi passaggi all’età semi-adulta.

La rilettura attuale, invece, mi ha lasciato una ferita, ma di quelle che, appena terminato il sanguinamento, rimangono cicatrici preziose, che accarezzi con tenerezza.

Può essere facile riconoscersi nella storia.

Siamo donne, siamo state “costruite” con utero ed ovaie ed, almeno in linea di massima, possiamo generare la vita. Il problema però, è – può essere a volte – la scelta di volere o meno generarla questa vita, rappresentare questo involucro/incubatrice/casa, soprattutto se accade in un momento in cui non c’è stata la volontà, la programmazione, o semplicemente la spontaneità degli eventi che ne hanno creato le condizioni ottimali.

Credo che ogni donna, o almeno la maggioranza, sappia già di essere incinta prima di fare il test. E qui si pone la prima riflessione del libro: cosa senti, cosa pensi, cosa credi sia giusto, o meglio,  comunque per te fondamentale, scegliere.

La protagonista – quando lo scopre – un pò si ribella perchè non sente sia il momento giusto, perchè si trova sola (il padre ritorna, prima per invitarla ad abortire, successivamente pe restare ma alle proprie condizioni senza ascoltare realmente i bisogni ed i desideri dell’altro), un pò si commuove di fronte al miracolo della vita che non lascia mai indifferenti, un pò si sente persa perchè deve decidere, consapevole di avere intorno tanti condizionamenti da cui sente di non poter completamente prescindere.

Inizia così un dialogo meraviglioso e struggente, a tratti amorevole a tratti meno, con questa creatura che potrebbe venire al mondo, cambiandole radicalmente il “suo” di mondo, le sue certezze, i suoi obiettivi.

Nel libro, oltre la protagonista, si affacciano 7 personaggi: il padre del bambino ( “L’ira mi ha travolto, Sono balzata a sedere sul letto e gli ho gridato che non eri né mio, né suo:eri tuo”), l’amica femminista ( “Sono millenni che usate il nostro corpo senza rimetterci nulla”), il datore di lavoro ( “L’imputata temeva che il famoso viaggio fosse affidato ad un collega rivale. Per questo era balzata dal letto ed era partita, senza alcun riguardo per la vita che portava in seno”), il medico ottuso (“Tutta la sua scienza non vale il mio intuito, e come fa un uomo a capire una donna che sostiene anzitempo di aspettare un bambino? Un uomo non resta incinto e, a proposito, dimmi: è un vantaggio o una limitazione? Fino a ieri mi sembrava un vantaggio, anzi un privilegio. Oggi mi sembra una limitazione, anzi una povertà. V’è un che di glorioso nel chiudere dentro il proprio corpo un’altra vita, nel sapersi due anzichè uno”), la dottoressa moderna (“ogni concepimento è una sfida carica di splendide ed orrende possibilità…..ed ancora “la gravidanza non è una punizione inflitta dalla natura per farti pagare il brivido di un momento. E’ un miracolo che deve svolgersi con la stessa spontaneità che benedice gli alberi…”), i due genitori anziani ( …riferito alla madre ” Ti piacerà perchè pensa che senza i bambini il mondo finirebbe. Ti piacerà perchè è grossa e morbida, con una pancia grossa e morbida per sedertici sopra, due braccia grosse e morbide per proteggerti, e una risata che è un concerto di campanelli….Solo chi ha pianto molto può apprezzare la vita nelle sue bellezze, e ridere bene. Piangere è facile, ridere è difficile”) ed, ovviamente, il co-protagonista figlio/a (“Vorrei che tu fossi donna…..essere donna è così affascinante. E’ un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna” ed ancora “Ma se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso…..se nascerai uomo, spero che sarai un uomo come io l’ho sempre sognato: dolce coi deboli, feroce coi prepotenti, generoso con chi ti vuol bene, spietato con chi ti comanda”)

Alla fine tutti sono chiamati ad esprimere il proprio giudizio, almeno nell’immaginario della protagonista che si sente sotto processo e  rappresentano una giuria in cui ognuno incarna – con il proprio modo di essere/di pensare/di sentire il ruolo della donna -, la propria opinione sulla maternità, sul dualismo donna-madre.

In alcuni passaggi la narrazione sfiora la crudeltà, soprattutto nelle pseudo-fiabe, ricordi di infanzia che la madre narra al bambino/a al fine di difenderlo-spaventarlo dal venire al mondo, eppure resta tremendamente poetica in tanti altri da indurre un lettore, anche poco empatico, a perdonarne ogni eccesso.

Non c’è giudizio, non ci deve essere. Però c’è dolore, e si sente tutto.

C’è una donna, sola ed indipendente, di fronte ad una scelta che, comunque vada, le cambierà la vita e che, come tutti i cambiamenti, la confonde, la frena, la preoccupa, la terrorizza.

Ma non sarà la paura a vincere, lei non cede, anche se potrebbe, lascia al figlio la scelta. Ed il figlio sceglie. Sceglie per la madre.

E qui si fermano tutte le parole.

Dopo tanto dialogo, dubbio, incertezza, arriva – inesorabile – la vita-non vita a mettere il punto. La protagonista non può che andare a capo, ricominciare, magari non subito con la lettera maiuscola perchè quello che è accaduto le lascerà un segno indelebile (ed infatti ci mette un pò a lasciar andare fisicamente fuori quello che già si è lasciato andare dentro di sè), ma si regala in chiusura la possibilità, nella sofferenza, di accogliere il dolore e di ripartire (“…Perchè la vita non muore”).

Questo è il senso che io ho voluto cogliere oggi dalla rilettura di questa breve storia (sono appena 100 pagine) in cui ho trovato racchiusa anche una parte della mia storia.

Il figlio/a lascia alla madre l’eredità più bella, la speranza “Non è vero che tu non credi all’amore, mamma. Ci credi tanto da straziarti perchè ne vedi così poco, e perchè quello che vedi non è mai perfetto. Tu sei fatta d’amore”.

Buona lettura! Elisabetta Mariotti

La Via dell’Equilibrio di Antonella Viola – Feltrinelli – 


Ho letto il libro di Antonella Viola, che ho trovato particolarmente originale per le persone come me che di anni contano tanti.

Non avevo fatto caso che eravamo precursori di un fenomeno sociale inedito e, di conseguenza, chiamati a diventare creatori di un gruppo umano senza precedenti nella storia.

Quando mai la coesistenza di milioni di ultrasettenni e ottantenni in società dove le nascite diminuiscono con una tendenza inarrestabile?
La depressione psicologica di chi non è più attivo e produttivo in una realtà sociale impreparata per accoglierli è più che comprensibile.

Ed è qui che Antonella mostra il genio femminile della sensibilità, la fantasia e la creatività spingendo le persone di età avanzata a non lamentare quello che non hanno più e, invece, a valorizzare quello che hanno coltivato e maturato, e spingersi all’invenzione di nuove possibilità.
Ma, attenzione ai movimenti, e a nutrirsi scientificamente bene, ci raccomanda Antonella. Buona lettura! Eugenio Delaney (Teologo)

Scritto sul Corpo di Janette Winterson – Piccola Biblioteca Oscar Mondadori – 1995 pag 201 Euro 8.40


Dalla seconda di copertina…

“…alla base di “Scritto sul corpo” c’è una specie di gioco, tanto più sorprendente e coinvolgente in quanto applicato a un romanzo d’amore che possiede il ritmo febbrile e coinvolgente di ogni vera passione: mentre di tutti gli altri personaggi sappiamo se si tratta di un uomo o di una donna, in questo libro non si capisce mai a quale sesso appartenga l’io narrante, la voce e il punto di vista attraverso i quali vengono filtrate tutte le vicende e tutte le figure della storia.

Di questa passione bruciante, poetica, profondamente incisa nei sensi e nella mente, conosciamo l’oggetto – Louise, una bellissima donna sposata dai capelli rosso Tiziano – ma non il soggetto, se non tramite rari indizi sparsi qua e là, troppo incerti per ricavarne una conferma definitiva.

Attraverso una scrittura appassionata, ironica, scandita con ritmi inusuali, il lettore si troverà così a esplorare emozioni e sentimenti con un’ottica e con partecipazioni diverse, in un lungo e lento viaggio nelle profondità e negli enigmi dell’erotismo e del desiderio.”

Un estratto da pag. 7…

“…ti amo è sempre una citazione. Non sei stata tu a dirlo per la prima volta e nemmeno io, eppure, quando lo dici tu e quando lo dico io, siamo come selvaggi che hanno scoperto due parole e le venerano. Io le ho venerate ma adesso mi ritrovo nella solitudine di una roccia scavata dal mio stesso corpo…”

Un altro estratto, da pag. 96…

“…Frank aveva il corpo di un toro, un’immagine che rafforzava portando grandi anelli d’oro attaccati ai capezzoli. Disgraziatamente aveva unito i due anelli con una pesante catena sempre d’oro. L’effetto finale doveva risultare molto macho, ma in realtà sembrava piuttosto il manico di una borsa di Chanel…”

L’Importante è che tu sia Felice di Claudia Rordorf  – Gruppo Editoriale Santelli  pag. 448 prefazione di Jacopo Fo


Siamo lieti di presentare il libro di Claudia Rordorf su una tematica che sta a cuore a tutti ed è oggetto di affannosa ricerca non sempre ben riuscita: la felicità.

Un libro coraggioso (e chi te l’ha fatto a fare?, verrebbe da chiederle), generoso (una condivisione amichevole non richiesta, ma molto gradita), delicato, tenero, esuberante e lungimirante.

Inoltre, un testo assai opportuno in tempi bui come quelli che stiamo vivendo, che ci ricorda il motto che Ilaria Capua ha fatto suo: “Every cloud has a silver lining” (Ogni nuvola ha una cornice d’argento). Il libro di Claudia è per noi una cornice d’argento nella nuvola contemporanea.

Profilo letterario

Autobiografia, divisa in tre parti:

  1. Il viaggio comincia (Milano, un processo, un cammino…), p. 11-154
  2. La Vita Nuova (Umbria, Alcatraz, Dario e Jacopo Fo, Franca…), p. 155-271
  • Ritorno a casa (Milano, Progetto Fedora, L’uomo magnetico…), 273-448
  1. Profilo esistenziale

Esistenziale, perché tocca le profondità dell’essere, determinando il fattore decisivo di un’esistenza umana: quel che conta è la felicità, esisti se sei felice, altrimenti sei nulla. Questa è l’affermazione di fondo del libro: la felicità come la stella polare dell’esistenza.

Sembra una tesi, un’affermazione apodittica, ma c’è da dire che l’approccio di Claudia non è teorico, concettuale.

Il suo libro non pretende essere una cattedra da dove si propongono definizioni precise della felicità, né un libretto di istruzioni o un ricettario per diventare felici. Non si entra nel testo come in una fabbrica programmata algoritmicamente per ottenere un prodotto, in questo caso la felicità.

Stiamo invece davanti a un vulcano in eruzione, una vera esplosione di esperienze (65 capitoli di situazioni vissute all’insegna del successo e, maggiormente, dell’insuccesso. All’interno delle quali si intuisce e si percepisce quali siano gli atteggiamenti che risultano vincenti e, pertanto, decisamente “importanti” sempre e comunque.

Questi atteggiamenti, coltivati soprattutto nell’esperienza nuova, rinnovatrice e sconvolgente vissuta in Umbria, nell’Alcatraz, con persone amiche che furono determinanti nel suo cammino di crescita, sono numerosi e vanno raccolti qua e là nel racconto: essere sé stessi, non al servizio delle altrui aspettative nel nostro riguardo, essere creativi nella vita e nel lavoro, vivere in funzione dell’immaginazione e della progettualità artistica, ecc. ecc.

La chiave di lettura si potrebbe riassumere così: si tratta di un libro che non parla al cervello ma al cuore, e si basa non in concetti chiari e precisi sulla felicità ma in esperienze e risultati concreti al riguardo. Ho tante domande da esplorare con l’autrice e ne verranno tante anche voi quindi non mi resta che augurarvi buona lettura e buon viaggio!

Frasi di Claudia Rordorf che aiutano a seguirla nel suo cammino di sperimentazioni per essere felice

  1. IL VIAGGIO COMINCIA

“Le storie dolorose delle donne della mia famiglia sono la ragione per cui ho precocemente improntato la mia vita alla libertà e stabilito che la mia felicità è la cosa più importante” (p. 13)

“So che non esiste un uomo al mondo, per cui valga la pena subire una violenza o accettare una vita infelice” (p. 18)

“Fu così che quella rimase sempre la sua (della zia) idea dell’uomo e della donna: la donna al servizio e devota; l’uomo splendente e da riverire” (p.22)

Il principio del piacere: “I miei genitori riuscirono a trasmettermi la chiave di acceso al principio del piacere, la magia che mi consente di uscire da ogni situazione difficile, insegnandomi ad assaporare, a gustare le piccole gioie della vita e in seguito, attraverso viaggi, visite a musei, spettacoli teatrali, musica mi infusero la passione per l’arte, che per me da allora è una delle principali fonti di nutrimento e armonia. Mi hanno cresciuta sensibilizzandomi alla necessità della bellezza, quella interiore e quella esteriore, percepita con i sensi, attraverso le opere d’arte e i capolavori della natura. Per me, da sempre, questa è la risorsa più grande. Oltre a questo, mi hanno dato tantissime opportunità di studio, vacanza e divertimento” (p. 33)

“Avevo le idee piuttosto chiare sul fatto che volevo vivere una vita avventurosa e ricca, all’insegna della libertà. Mi ripromettevo di provare più strade possibili, avrei fatto della mia vita una serie de esperienze differenti” (p. 52)

“Molto spesso tradivo me stessa per compiacere gli altri” (p. 52)

“Primo comandamento: farai scodinzolare libero il treno della tua vita… Voglio vivere con gusto, fino in fondo, e voglio morire soddisfatta di tutto ciò che avrò fatto” (p. 53)

“Secondo comandamento: Sarai sempre buona e ligia al dovere, una secchiona irreprensibile e in qualsiasi cosa che farai dovrai eccellere. Impegnativo” (p. 53)

“Quinto comandamento: La giustizia e l’onestà prima di ogni cosa” (p.55)

“Solo vie di mezzo.  In medio stat virtus. Che noia questa virtus…” (p. 63)

“Il corpo è mio e ne faccio ciò che voglio io” (p. 66)

“Ogni tentativo di essere femminile, per quanto sgraziato, veniva respinto con rigore” (p. 78)

“Io mi ero persa nel mio mondo e non mi importava più di niente, tranne che delle mie nuove scoperte. Era un mondo nuovo, tutto da esplorare. Sesso e arte: intravvedevo la strada maestra” (p. 95)

“’L’importante è che tu sia felice’: i miei lo dicevano sempre, ma era evidente che continuavo a non esserlo… Avevo capito che avrei dovuto seguire il mio cuore, la mia passione, invece di continuare a fare ciò che ci si aspettava da me e compiacere gli altri” (p. 100)

“Restavo imprigionata nella paura di non essere all’altezza e così perdevo tutte le chances di essere felice” (p. 119)

“Continuavo con la psicoanalisi… ma continuavo a non capire nulla di me stessa. Tutto avveniva sempre e solo nella dimensione intellettuale, restando incomprensibile alle parti più importanti di me: il corpo e il cuore” (p. 119)

Eugenio Delanay (Teologo)

Per saperne di più su Claudia Rordorf:

Lezioni di Chimica di Bonnie Carmus  – Rizzoli 2022  pag. 454 Euro 19,00


La straordinaria protagonista, un chimico di nome Zott (!), conduce un programma televisivo sulla cucina dove mescola sapori e saperi illustrando alle casalinghe americane degli anni ’60 che è la miscela degli ingredienti, come nella vita, che dà gusto alle cose.
“Non permettete che i vostri talenti restino in letargo, progettate e costruite il vostro futuro. Tornando a casa chiedetevi cosa cambierete e poi fatelo”.
Insomma tra lezioni di cucina, canottaggio, perdite e lutti, accompagnata da sua figlia Mad (!) e dal cane Seiemmezza, la Zott con deliziosa ironia un’energia famelica, attraversa il nostro cuore e lo fa pulsare di allegria.
E pensare che mi ero dato un limite di lettura di 250 pagine… come dice la Zott, bisogna superare i propri limiti!!!

Buona lettura

F. Marchese

Troppo Buoni con le Donne

di Raymond Queneau  – Enaudi Stile Libero- 2006 pag. 186 Euro 14,00


“Troppo buoni con le donne” è uno dei due romanzi irlandesi di Raymond Queneau – l’altro è “Il diario intimo di Sally Mara”, anche questo molto divertente – in omaggio a James Joyce.

Il racconto è una farsa comico-eroica-erotica sottilmente misogina dove c’è molto sangue, molto sesso e molto sarcasmo. E tutto avviene in modo così folle e inaspettato che ogni evento finisce per produrre nel lettore un effetto esilarante, dove a prendere le redini dei vari caratteri dei personaggi è il senso del ridicolo.

Narra la storia di una mezza dozzina di guerriglieri irlandesi, forse sette con il capo, che nel 1916 occupano il palazzo delle Poste a Dublino durante la cosiddetta Easter Rising, la sollevazione popolare avvenuta nella Pasqua di quell’anno, che aveva lo scopo di creare una repubblica d’Irlanda e ottenere l’indipendenza dal Regno Unito.

Ebbene, questi bei ragazzi, timorati di Dio, alcuni impuberi, irrompono nel palazzo quasi fosse una rapina, al grido di “Finnegans Wake”, ammazzano qua e là qualche lealista senza troppo pensarci e fanno sfollare impiegati e pubblico barricandosi con quelle poche e a volte difettose armi che possiedono. Immaginano l’ufficio deserto mentre chiusa nei lavatories almanacca sulla propria sorte, alla maniera di Molly Bloom, una bella, vanitosa e prosperosa ragazza, british fino al midollo, Gertie Girdle.

La quale ragazza, fidanzata nientemeno con il commodoro inglese, militare da album delle figurine, riesce a suscitare in ognuno di loro sentimenti di amore e impudicizia, o viceversa che è meglio, finendo coll’irretire uno per uno gli ingenui insorti. I quali perlomeno, prima di morire, regrediscono allo stato puberale e mettendo da parte la loro purezza e correttezza, godono appieno delle sue grazie. E anche lei, fatale signorina delle poste, che tutto è fuorché una docile e ingenua fanciulla.

Insomma l’autore prende in giro tutti, smantella luoghi comuni, moralismi, pregiudizi, retoriche senza pietà per nessuno. Con il suo stile decisamente funambolico, maestro di parole e allusioni, Queneau ci delizia, ci fa ridere e ci accompagna fino alla fine quando Gertie-Salomè, maliziosamente, confessa al suo fidanzato che quei ragazzi si sono comportati proprio male con lei pretendendo finanche di vedere la sua caviglia scoperta.

Così, poco prima di essere fucilati, il capo degli insorti, con la rassegnazione di un uomo che niente può per arginare la malizia di una donna, motteggia che gli uomini saranno sempre troppo buoni con le donne.

Buona lettura

F. Marchese

Questa Vita: conoscerla, nutrirla, proteggerla

di Vito Mancuso  – Garzanti Editori – Euro 12,00


Vi presentiamo questo libro di Mancuso: compito per le vacanze e prossimo libro in programma per l’incontro del Circolo Letterario di ottobre, vi evidenziamo subito che non è un libro da leggere per rilassarsi, divertirsi o riposare.

E’ un libro impegnativo, da leggere e da studiare o meglio meditare se vogliamo avere benefici.

Infatti, “Questa Vita”, è proprio quella attuale, quella che stiamo vivendo ora, proprio adesso che state leggendo questa presentazione.

Fate un bel respiro, state ben appoggiati sulla sedia o sul letto (deformazione professionale?. E’ probabile).  

Questo libro vuole essere un invito a dare uno slancio per godere di una vita piena, di ottima ed eccellente qualità. Anche, o principalmente, se limitati da problemi fisici, psichici o spirituali.

Mancuso tratta il tema della vita suddividendo in tre parti le sue riflessioni:

  • Conoscere la vita
  • Nutrire la vita
  • Proteggere la vita

Questa schematizzazione risponde ad un doppio obiettivo:

  1. mettere ordine nelle idee del lettore (conoscere), fornendo un bagaglio conoscitivo antico e moderno della vita in una prospettiva olistica ed integrale (corpo, psiche, spirito). Dove tanti elementi meravigliosi spesso sono sconosciuti e/o ignorati;
  2. migliorare sostanzialmente la qualità della vita attraverso un percorso, un cammino (l’autore lo chiama “sentiero”) ma a noi piace progetto che si trova riccamente esposto nella seconda e terza parte del libro (nutrirla e proteggerla).

Che dire? Siete un po’ perplessi? Non crediamo proprio! Trovare un amico come Mancuso che mette al servizio del grande pubblico il bagaglio delle sue conoscenze che spaziano dalle culture antiche a quelle moderne e contemporanee, dalle filosofie alle religioni, dall’Occidente all’Oriente, è già una grande fortuna che non possiamo farci scappare.

Questo è Vito Mancuso, un pensatore e scrittore giovane (del 1962), che conta ormai con una vasta produzione letteraria e una presenza assidua nei mezzi di comunicazione.

Ma, secondo noi è soprattutto molto interessante e stimolante, trovarci davanti alla proposta di fare qualcosa, e forse una cosa davvero decisiva e speciale, per migliorare la qualità della nostra vita. Tutto questo non può che essere affascinante.

Diventare consapevoli che stiamo vivendo a metà, frenati, intrecciati in diversi nodi che non ci lasciano esprimere tutta la nostra potenzialità e trovare una strada per liberare il corpo, la psiche e lo spirito verso realizzazioni finora impensabili ed insospettabili, è una grande opportunità.

Torniamo a dire, questo libro di Mancuso non è scritto per riposare la mente e procurarle un momento di svago. Ci sono tanti altri libri scritti con questa finalità, bei romanzi, ottime antologie di poesie e tanto altro che dobbiamo anche conoscere e approfondire.

Questo è un libro di meditazione e di lavoro, finalizzato a ottenere qualcosa di concreto nella nostra vita reale: migliorare il nostro modo di respirare, cambiare l’alimentazione, riorganizzare le nostre attività e il nostro riposo, leggere di più, socializzare di più e meglio, cambiare significativamente il nostro rapporto di coppia, coltivare riflessioni trascendentali, adoperarci nel sociale, vivere con pathos, appassionatamente.

Da qui a ottobre la nostra vita può cambiare anche di 360^ gradi.

Nel nostro prossimo incontro del Circolo, forse non parleremo soltanto del contenuto del libro, ma sicuramente anche del percorso fatto e dei risultati ottenuti.

Buona lettura, buon percorso, buone vacanze.

Roberta e Eugenio

Per saperne di più di Claudia Rordorf:

Claudilla : https://www.facebook.com/profile.php?id=100063736925707

Progetto Fedora: https://www.facebook.com/Progetto-Fedora-428985220555772

The dead o I morti

di James Joyce  – Passigli Editori – Euro 9.50


Se non ricordo male è stato Alberto Savinio, fratello del più conosciuto De Chirico, a definire “The dead” di James Joyce il più bel racconto del ‘900. È raccolto in “Gente di Dublino”, Mondadori, 1971 lire 600 (questa la mia edizione).
Per chiudere in bellezza quest’anno proporrei questa lettura breve, quarantacinque pagine, e nonostante il titolo è un inno alla vita, alla consapevolezza dell’esistenza e dell’amore che ci circonda. E come l’amore ci salva dalla tristezza e dalla morte.

Anche l’amore che passa attraverso l’infedeltà coniugale, reale o presunta. Così come la nostra esistenza è in perenne equilibrio tra la vita e la morte.
È breve e si legge d’un fiato, giusto in tempo per metà giugno quando chiuderemo.

Mi sembra un buon finale per la nostra bella compagnia, discutere della vita, dell’amore e della vittoria della poesia sulla sofferenza.
La soglia tra i due mondi, in Joyce, sfuma fino a diventare invisibile: vivi e morti camminano sulla stessa terra, nelle stesse città, fino a confondersi. E nel racconto i colori della terra, quello dei mattoni dei palazzi di periferia, si mescolano al verde dei campi per diventare mistero avvolto nella nebbia e nel silenzio della neve.

La neve infine cade lieve su tutte le cose, ovattando finanche le note di quella melodia che il giovane innamorato canta a Gretta sotto la sua finestra, nonostante il gelo della notte.

Quando il marito le chiede di cosa sia morto, lei semplicemente risponde “credo che sia morto per me”.
Lui non insiste, le lascia le lacrime del suo dolore perché “un leggero picchiare sui vetri lo fece girare verso la finestra.

Aveva ricominciato a nevicare. Osservò assonnato i fiocchi, argentei e scuri, cadere obliquamente contro il lampione… la neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude… cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero… si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.”

John Houston ne ha tratto un bellissimo film l’ultimo della sua carriera, commuovente e meraviglioso, un inno alla poesia e all’amore.
A presto.

Buona lettura!

Francesco MARCHESE

La Porta

di Magda Szabò  – Edizione Enaudi 2014- 252 pagine – Euro 12


Le regole sono regole. Una delle mie è che il mio corpo cambia ogni dieci anni, non pesa mai meno del decennio precedente, purtroppo. L’altra è che ogni dieci anni diminuisce il numero di pagine dei libri che riesco a leggere. Quand’ero ragazzo non c’era limite né al numero né al tempo che dedicavo alla lettura. Oggi il mio limite è duecentocinquanta pagine.

Quanto al tempo non so bene cosa sia diventato, forse un ospite non gradito. Per fortuna la regola del fascino e della curiosità dei generi letterari non è cambiata.

Il principio base di Emerenc, protagonista del bel libro di Magda Szabò “La porta”, Einaudi 2014, pag. 258 (ahimè!), € 12,00, è che nessuno può entrare a casa sua, proprio nessuno. Le regole sono regole, appunto.

Emerenc è una donna ruvida, senza età, con le sue idee bislacche e strambi comportamenti, riservata, e con dei segreti nascosti gelosamente dietro la porta eternamente chiusa della sua casa.

È la donna di servizio tuttofare di Magda, la scrittrice ungherese, e di suo marito, professore. Tra di loro il rapporto non è proprio idilliaco, si litiga spesso fin dal primo giorno, ci si riconcilia, si litiga nuovamente e con più ferocia. Sembra che ci sia una sorta di incomunicabilità, di mistero, il quale mistero porta alla curiosità di Magda.

Tuttavia sarà l’umanità a prevalere, poco alla volta il loro rapporto si distende, Emerenc si affida sempre più alla narratrice, il loro legame diventa esclusivo, esigente fino a diventare presenza morale ed umana insostituibile.

“Sogno raramente. E se capita, mi risveglio di soprassalto in un bagno di sudore. In questi casi, poi, mi abbandono nel letto e medito sul potere magico delle notti aspettando che il cuore si fermi” questo è l’incipit, bellissimo, del libro che ci indica chiaramente la strada che l’autrice intende percorrere. Un racconto che accompagna noi lettori nel labirinto della sua mente che tra sogno e realtà mette in scena il suo travaglio interiore, a volte un incubo, aspettando che il suo cuore si fermi per poi ripartire.

In Magda Emerenc vede la figlia che non ha avuto, la famiglia che l’ha tradita, la vita stessa di cui è stata affettivamente defraudata, a lei sola rivelerà i segreti nascosti dietro la porta della sua casa, inespugnabile e rigorosamente sbarrata a tutto e a tutti.
La scrittrice non sarà in grado di accogliere ed elaborare la gratuità e la grandezza dell’affetto che la vecchia donna le ha voluto riservare, incapace com’è, per meglio dire inadatta ad affrontare i problemi della vita quotidiana.

Fatica a capire il suo moralismo, la sua testa perennemente coperta come se si trattasse di un abito monastico, la sua generosità, i suoi scatti d’ira, la durezza delle parole e dei gesti, quegli atteggiamenti che sembrano perversioni, le sue scelte incomprensibili e crudeli, i suoi silenzi e le assenze misteriose, le sue richieste di aiuto e nello stesso tempo la sua voglia di restare sempre e comunque da sola.

In un crescendo di rivelazioni l’autrice si avventura sempre di più nel mistero della esistenza passata di Emerenc scoprendo un destino segnato da avvenimenti drammatici. E quando Emerenc si ammalerà, rifiutando di aprire la porta ai medici che vogliono salvarla, per mantenere fino alla fine la riservatezza della propria impenetrabile esistenza, sarà proprio la scrittrice a… ma non voglio certamente rivelarvi il finale.

Buona lettura!

Francesco MARCHESE

Le assaggiatrici

di Rosa Postorino  – Edizione Universale Economica Feltrinelli – 285 pagine – Euro 10


“Cosa vorresti fare da grande? L’assaggiatrice di Hitler”.

Chi mai avrebbe potuto sognare un futuro così anomalo? Eppure è quello che succede a Rosa Sauer la protagonista del romanzo, giovane donna tedesca che, suo malgrado, diventerà assaggiatrice del cibo del Führer.

Le Assaggiatrici, perché sono dieci le donne scelte per questo lavoro. Dieci cavie, tutte donne, e non a caso.

“A settembre del 2014 lessi su un giornale italiano un trafiletto a proposito di Margot Wolk, l’ultima assaggiatrice di Hitler ancora in vita. Frau Wolk aveva sempre taciuto riguardo alla sua esperienza, ma all’età di novantasei anni aveva deciso di renderla pubblica. Il desiderio di fare ricerche su di lei e la sua vicenda fu immediato, Quando, qualche mese dopo riuscii a trovare il suo indirizzo a Berlino, con l’intenzione di inviarle una lettera per chiederle un incontro, appresi che era morta da poco. Non avrei mai potuto parlarle, né raccontare la sua storia. Potevo però provare a scoprire perché mi avesse colpita tanto. Così ho scritto questo romanzo.”

Un romanzo di invenzione dunque, non la vera storia di Margot Wolf, ma ispirato alla sua storia. Ma anche un romanzo storico, perché non può prescindere da quel determinato periodo storico, a noi tragicamente noto.

E’ l’autunno del 1943, rimasta sola a Berlino dopo la partenza del marito che va a combattere come volontario sul fronte russo e dopo la morte della madre sotto un bombardamento,  per sfuggire alla guerra  Rosa si rifugia  presso i suoceri in un piccolo paese della Prussia orientale.

Ma Gross-Partsch non è un paese qualsiasi, nascosto nella foresta c’è il quartier generale del Führer, la Tana del Lupo, invisibile dall’alto e mai intercettato dagli aerei militari sovietici.

E il Führer è convinto che gli inglesi vogliano avvelenarlo, per questo vengono reclutate 10 giovani donne del paese, che assaggeranno il cibo che il suo cuoco personale preparerà per lui e per loro.

Ad una sola settimana dal suo arrivo al paese, Rosa è arruolata.  Una mansione non inedita, già gli imperatori romani usavano gli schiavi come assaggiatori. Ma qui c’è un elemento di novità: queste donne non sono schiave, sono donne tedesche, formalmente libere ma che, una volta arruolate, diventano esse stesse cavie e schiave. Questo perché in guerra tutti devono fare la loro parte e mentre gli uomini vanno al fronte incontro ad una morte “eroica” queste donne, che corrono il rischio di ingerire cibo avvelenato tre volte al giorno, avrebbero fatto una morte in sordina. “Una morte da topi, non da eroi. Le donne non muoiono da eroi”.

Un romanzo scritto in prima persona, perché l’autrice ha voluto immedesimarsi totalmente nel personaggio, a cui dà anche il suo vero nome, Rosa, e con lei proverà ad immaginare e vivere  i suoi pensieri, le angosce, le paure e i sensi di colpa di chi  vive nel privilegio di poter mangiare tre volte al giorno (mentre il resto della popolazione muore di fame) e contemporaneamente rischiare di morire ad ogni pasto. “Come mi sarei comportata al posto di Rosa, avrei mangiato quel cibo rischiando di morire ogni giorno?”.

Discernere tra il bene e il male, come si fa a scegliere in situazioni, come la guerra, dove il sistema valoriale è totalmente sconvolto, cosa fanno le persone per sopravvivere? Fanno quello che possono e spesso la scelta è la collusione con il male. Rosa lo sa e si porta addosso questa colpa

Piacere e angoscia, fame e paura. Le Assaggiatrici vivono questa tragica dimensione, il piacere di mangiare un ottimo cibo che avrebbe potuto ucciderle. Una situazione di paranoia che porterà a momenti di vero terrore quando si verificheranno malori dovuti, poi si saprà, ad un alimento avariato ma non avvelenato.

La convivenza tra  le Assaggiatrici non sarà  facile, sono tutte donne sole, con i mariti al fronte, caduti o dispersi, qualcuna con figli piccoli da mantenere. Non avevo nulla da condividere  con quelle donne, se non un lavoro che mai avrei pensato di trovarmi a svolgere. Sono donne che non si sono scelte, che vivono in una situazione di segregazione e di coercizione, quindi sospettose, inaffidabili. Sono zolle che galleggiano e collidono. Scorrono l’una accanto all’altra o si allontanano. Eppure ad un certo punto sentono la necessità di essere “guardate”, nel senso di essere riconosciute dall’altro.

Da troppo tempo eravamo donne senza uomini, non era il sesso a mancarci, ma l’impressione di essere viste.

Si creeranno frizioni, rivalità ma anche legami e alleanze. E’ la stessa Rosa, che pure è vista come la straniera, la berlinese,  che sembra sentire  più di altre il bisogno di creare un legame con alcune di loro. E sarà con Elfride, la più ostile e scontrosa, che Rosa proverà un profondo sentimento di amicizia, anche se mai manifestato apertamente.

E poi arriva in caserma il tenente Ziegler,  spietato e cinico, il prototipo del militare nazista, che creerà un clima di terrore all’interno della caserma.  Eppure tra lui e Rosa si instaura una relazione amorosa.

Secondo Massimo Recalcati siamo di fronte ad un libro di letteratura e non di narrativa, perché se la narrativa racconta più o meno bene delle storie, la letteratura pone delle domande attraverso una lingua che tocca profondamente ciascuno di noi,  tocca  la verità dell’essere umano.

E l’autrice ci pone continuamente domande che non hanno quasi mai  una facile  risposta.

“Sono attratta dal cortocircuito tre vittima e carnefice”, sostiene l’autrice, quel crinale sottile fra la condizione di vittima e di colpevole. Perché Rosa è una vittima, ma allo stesso tempo anche colpevole, perché di fatto lavora per mantenere in vita Hitler, anche se lei non è mai stata nazista e non ha scelto quel lavoro.

Sei responsabile del regime che tolleri, avrebbe gridato mio padre. L’esistenza di chiunque è consentita dall’ordinamento dello Stato in cui vive, pure quella di un eremita…non sei immune da nessuna colpa politica.

Ma  a differenza del padre,  Rosa ritiene che  non c’è alternativa alla dittatura (e questo è anche il nostro alibi). Non possiamo farci nulla, Rosa pensa di non fare del male, sta solo mangiando, ma se il solo assaggiare i cibi per il Führer la fa diventare  ingranaggio di quel sistema, ecco che affiora  il senso di colpa.

La colpa. Per l’autrice la colpa di Rosa è intesa nella sua forma accidentale, una colpa che non avviene per scelta ma che in qualche modo erediti, come il peccato originale, si nasce già con questa colpa. Rosa nasce in un contesto storico che non ha scelto,  non ha mai votato per Hitler, però se lo ritrova come una colpa che si porta addosso. Qui l’autrice si rifà alla definizione del filosofo Carl Jasper, che nel suo libro sulle colpe della Germania, sostiene che esistono tre tipi di colpa: la colpa politica, che è quella di chi tollera il regime, la colpa morale, di chi collude con quel regime, ma soprattutto esiste la colpa metafisica, cioè quella di sopravvivere mentre altri soccombono, di rimanere inerti di fronte alle ingiustizie che sterminano gli altri.  La tua colpa è quella di sopravvivere mentre gli altri soccombono.

Come scriveva Primo Levi: “I superstiti non sono necessariamente i migliori, ma sono quelli che sono riusciti ad adattarsi meglio al sistema in cui erano intrappolati.” E Rosa si adatta, riesce a sopravvivere, ma essendo il Terzo Reich il sistema disumano per eccellenza, lei si domanda quanto di umano sia rimasto in lei. Perché continuavo a sopravvivere ogni volta che qualcuno mi veniva portato via? La capacità di adattamento è la maggior risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.

Ma se si può invocare la colpa accidentale per tutto quello che succede a Rosa indipendentemente dalla sua volontà, non altrettanto su può dire quanto al suo rapporto con Ziegler. Lì la colpa è solo sua, l’intimità con il corpo del tenente diventa una forma di intimità con il nazismo. Ma l’autrice interpreta il desiderio di Rosa come una forma di resistenza dei due amanti, di rivendicazione della loro esistenza in quanto esseri umani a fronte della negazione dell’individuo operata dal regime.

Far vedere il corpo di un nazista come  un corpo da amare è un azzardo che l’autrice si è sentita di correre, ben sapendo che non poteva che andare così.

La storia delle Assaggiatrici racconta ancora come gli esseri umani per sopravvivere siano disposti a fare cose che in situazioni estreme non farebbero. Quindi “la sopravvivenza come risorsa degli esseri umani ma anche come forma di condanna”.

recensione di Luisa Goglio

Link utili:

https://youtu.be/6C8oFHLbU-M

 

Il secondo Cervello

di Michael D. Gershon  – Edizione Utet – 364 pagine – Euro 14 


Gastroenterologia

“Sappiamo che, per quanto il concetto possa apparire inadeguato, il sistema gastroenterico è dotato di un cervello.

Lo sgradevole intestino è più intellettuale del cuore e potrebbe avere una capacità “emozionale” superiore.

È il solo organo a contenere un sistema nervoso intrinseco in grado di mediare i riflessi in completa assenza di input dal cervello o dal midollo spinale.” Il sistema nervoso enterico è una curiosità, un residuo che abbiamo conservato da nostro passato evolutivo.

Di certo, non suona come qualcosa che possa attirare l’interesse di tutti, invece dovrebbe.

Un sistema nervoso enterico è presente in ciascuno dei nostri predecessori nel corso di milioni di anni di storia dell’evoluzione che ci separa dal primo animale dotato di spina dorsale.

Esso è un centro di elaborazione dati moderno e pieno di vita che ci di portare a termine alcuni compiti molto importanti e spiacevoli senza alcuno sforzo mentale.

Michael D. Gershon responsabile del Dipartimento di Anatomia e Biologia cellulare della Columbia University, autore di innumerevoli pubblicazioni scientifiche, è considerato uno dei padri della neurogastroenterologia.

Su una gamba sola

di Oliver Sacks – Adelphi – 240 pagine € 16.50  


Trama

Un incidente di montagna in Norvegia: Oliver Sacks si ritrova in un letto con una gamba che, nella sua percezione, non gli appartiene più.

All’inizio, pensa che il suo caso sia semplice e banale. Poi, si trova sprofondato in un “abisso di effetti bizzarri e anche terrificanti”.

Quella gamba alienata dal suo corpo lo induce a indagare “l’orrore e la meraviglia che occhieggiano dietro la vita e che sono celati, per così dire, dietro la superficie usuale della salute”. Quando questo equilibro precario fra salute e malattia si spezza, tutto precipita e l’immobilità porta a rivedere ciò che conta e ciò che non conta ma sopratutto a chi siamo veramente.

Perdere la percezione di un arto lede l’immagine di sé stessi, obbliga a chiedersi che cosa sia questo Sé che agisce in noi. Anche questa volta, Sacks indaga, e ci fa partecipi della sua indagine, attraverso il racconto: che sarà il racconto di uno strano viaggio “in avanti e all’indietro – perché questa sembra essere la natura del pensiero: ricondurci al suo punto di partenza, alla casa atemporale della mente”.

Per il momento, buona lettura! 

Link Utili: https://www.focus.it/scienza/scienze/10-aspetti-noti-e-meno-noti-della-vita-di-oliver-sacks

https://www.lavocedinewyork.com/arts/spettacolo/2019/10/05/il-documentario-sulla-vita-di-oliver-sacks-debutta-al-new-york-film-festival/

L’uomo duplicato

di Josè Saramago – Feltrinelli – 270 pagine € 18.00  


Trama

Bene, ragazze e ragazzi, il libro del mese, che mi piacerebbe discutere con voi è piuttosto complesso, non difficile, ma sorprendente, profondo, a tratti inquietante ma non privo di una meravigliosa ironia e di suspense.
Narra di un tale, professore di Storia in una scuola media, che “vive da solo e si annoia o, per dirla con la precisione clinica che l’attualità richiede, si è arreso alla temporale debolezza d’animo…”.
Incontra, come ogni personaggio letterario che si rispetti, grandi difficoltà nelle relazioni col prossimo, non ricorda perché si sia sposato né tanto meno perché abbia divorziato.

Insomma un pigro, per quanto la parola sottintenda piuttosto una fisicità liquida, che peraltro ben gli si adatta, ovvero diciamo pure un proustiano “ennuie”.

Un giorno, su consiglio di un collega, noleggia un film. Con sua grande sorpresa si trova faccia a faccia con una comparsa che, ben più che somigliargli, è proprio lui. Lui davvero. Non un sosia, ma un autentico doppio. Da quel momento fa di tutto per scoprire chi sia l’attore, cosa faccia, che storia abbia, andando a vivere in una realtà parallela che forse ha già vissuto e che condurrà con l’altro se stesso.

Con ironia e acume l’autore, meraviglioso, ci conduce attraverso questo viaggio dentro noi stessi, le nostre paure, le dimenticanze, un’indagine sull’identità con improvvisi colpi di scena, dejavu e dolorosi balzi in avanti. Scoperte che non avremmo mai voluto fare.

Ripeto, non è un libro facile, i dialoghi sono all’interno della narrazione e la prosa a volte lascia senza fiato per quanto è densa di significati. E anche a sfogliarlo, il libro, lascia forse spaventati per quelle pagine ininterrotte.

Ma non dobbiamo preoccuparci perché una volta dentro la storia e compreso il meccanismo della scrittura non lo lasceremo andare, ci farà entrere dentro, viaggiare con il/i protagonisti, fino al sorprendente finale (che non ho ancora letto!).
Dunque sto parlando de “L’uomo duplicato” di José Saramago-
Se siete curiosi, qualche tempo prima che morisse, il Nobel Saramago venne intervistato da Serena Dandini.

Un vecchio uomo incredibilmente intelligente, ironico.
Se non ricordo male fu lui che disse “non sono orgoglioso delle pagine che ho scritto, ma di quelle che ho letto”.
Commuovente vero?

Per il momento, buona lettura.

Circe

di Madeline Miller – Marsilio, 2021 – pagine. 416 € 11,40 (cartaceo, tascabile) € 7,99 (ebook)


Trama

Chi è Circe? A scuola l’abbiamo conosciuta come la maga che trasforma i compagni di Ulisse in porci, ma su di lei di solito si approfondisce poco; tutt’al più si riflette sulle sue doti di ammaliatrice.  Nel poema omerico, Circe è un ostacolo, è l’ennesimo impedimento che porta Ulisse a ritardare il suo ritorno a Itaca.

Nel romanzo di Madeline Miller, Circe diventa centrale (a cominciare dal titolo). Oltre a essere una pharmakis (maga), è molto di più: tanto per cominciare, è una ninfa, figlia di Elios e di una naiade. Pochi sono i poteri divini che le vengono garantiti alla nascita, e questo viene specificato fin dall’inizio del libro. Sono tanti, invece, i tratti che la accomunano agli esseri viventi, tra cui la voce, così simile a quella degli umani, e la sua curiosità verso chi è terreno e destinato alla morte.

Pietosa verso chi subisce enormi punizioni (come Prometeo), a costo di violare le leggi degli dei, la giovanissima Circe si lascia avvincere dalla passione per un pescatore Glauco. Quando cerca di trattenerlo a sé, violando i precetti divini e perseguendo con tenacia il suo obiettivo di strapparlo alla bella Scilla, la ninfa viene punita con l’esilio sull’isola di Eea .

Si tratta di un confino a cui è necessario adattarsi, perché attorno a Circe non ci sono più le ricchezze della casa paterna, ma solo una natura ricca e a tratti impervia.  Questo luogo offre a Circe occasioni preziose per affinare le sue doti di maga. Come vedremo più volte nel romanzo, per funzionare una pozione richiede anche la giusta attitudine e le parole sono preziose per accompagnare il potere degli intrugli; in ogni caso, «la magia non può essere insegnata. La scopri da sola, o non la scopri affatto» (p. 75).  La magia è anche ciò che tutela Circe dall’arrivo di marinai pronti ad approfittarsi di lei e a depredare le sue ricchezze; ecco che allora la trasformazione in porci è una vendetta sottile, goduta con un certo spietato compiacimento.

Noi lettori attendiamo con crescente suspense l’arrivo di Odisseo sull’isola, e le nostre prospettive non vengono deluse, anche se cadono molte delle nostre convinzioni.

 Circe è una donna indipendente e ferocemente disposta a sentire la vita, in tutte le sue sfumature. Un finale inatteso ma coerente col romanzo e con la protagonista ci fa chiudere le pagine di Circe con un appagante senso di compiutezza.

Ho trovato il romanzo ben scritto, rivisitato da una autrice donna e che da a Circe, tratti in cui tutte le donne vorrebbero riconoscersi e che si riconoscerebbero se iniziassero a cercare quella femminilità autentica e sepolta da tonnellate di detriti.

Un invito alle donne a ricercare la loro vera natura e agli uomini di non avere paura da fare la scelta di essere “NESSUNO” per ritrovare se stessi.

Buona lettura!

La lettera Scarlatta

di Nathaniel Hawthorne, Newton Compton Editori – 6 euro  – 154 pagine


Trama

Nuova Colonia del New England, America, fine 1600. La porta della prigione di Boston si apre davanti a una folla silenziosa, per lasciar uscire una donna con una neonata in braccio. La lettera in stoffa scarlatta, ricamata preziosamente, che brilla sul suo petto, ricorda a tutta la comunità l’orrore e la gravità del peccato commesso. E’ la “A” del suo adulterio.

Hester Prynne è arrivata a Boston dall’Inghilterra, dove aveva da poco sposato un uomo di scienza molto più grande di lei, per il quale non nutriva amore. Impegnato con il suo lavoro, l’uomo aveva inviato la giovane sposa in America, promettendole di raggiungerla presto. Dopo due anni di separazione, quando ormai di lui non si avevano più notizie e si credeva morto, Hester si era macchiata della peggiore delle infamie per la rigida e devota cittadina puritana.

Seppur minacciata della dannazione eterna, la ragazza non aveva voluto rivelare il nome del suo complice e padre della bambina. Grazie all’intercessione del giovane parroco Dimmesdale, la pena di morte era stata commutata nell’obbligo di esporre la lettera infamante sul suo petto per tutta la vita. Così, fra il disprezzo dei parrocchiani, allontanata da tutti, Hester cresce la piccola Pearl prodigandosi per i più bisognosi, vivendo nell’ombra, riducendo al minimo i rapporti con il mondo esterno.

Ma in città due persone la osservano negli anni. Il pastore Dimmesdale, giovane e accalorato uomo di chiesa, che incanta i suoi fedeli per l’ardore dei suoi sermoni, ma la cui salute si fa sempre più cagionevole e il suo spirito sempre più dimesso, quasi fosse logorato dall’interno. E un medico misterioso, arrivato in città all’epoca dello scandalo.

Corroso dalla rabbia per essere stato tradito, il marito di Hester si è infatti infiltrato nella comunità sotto falso nome, con l’intento di smascherare il complice della moglie adultera e dare sfogo al suo odio e alla sua vendetta. Dopo sette anni di tormento e solitudine, i cittadini sembrano aver perdonato Hester, la cui vita dimessa e solitaria lascia credere che sia cambiata.

Se non sia turbata da moventi egoistici, la natura umana è per se stessa più portata all’amore che all’odio.

Quando finalmente sta per liberarsi della lettera che le pesa sul cuore, il senso di colpa del suo amante porterà tutti a un triste epilogo e la ragazza capirà che non spetta ancora a lei cambiare le regole tanto restrittive della società in cui vive.


Recensione

 L’attenzione dell’autore nel descrivere la società puritana delle nuove colonie americane dà vita a un romanzo storico unico e toccante e molto attuale ancora oggi. 

Povero di azione e ricco di introspezione, non solo dei personaggi principali, ma di un’intera comunità, questo libro è il testimone di una morale religiosa violenta e implacabile che fa di Hester un personaggio originale per l’epoca.

Hester è una peccatrice che cerca per tutta la vita di espiare le sue colpe, consapevole della gravità dell’errore e della necessità di fare ammenda per avere salva l’anima.

Eppure, alla fine, dopo anni di desolazione, quando la città pare averla perdonata, torna in lei, feroce, quello spirito forte e ribelle che l’ha spinta al tradimento. Quella passione e quel bisogno di amore e di felicità che è convinta meritino tutte le donne. Il suo istinto, nascosto così a lungo, è quello di cambiare le regole, sfuggire alla morale gretta e chiusa in cui vive, ma le sue idee sono ancora inadatte alla sua epoca.

Lo strazio e il dolore dei due protagonisti, la lotta tra colpa e innocenza, sono descritti con un’intensità unica. L’autore rivela una mentalità personale molto all’avanguardia per l’epoca e Hester è una donna che vuole essere se stessa a qualsiasi costo. C’è molto da imparare da Hester Prinn!

Il Senso della Vita

di Irvin D. Yalom, Editore Neri Pozza Narrativa – 17 euro  – 293 pagine

Cosa nasconde la psiche umana? Qual è il vero senso della vita? È vero che dolore e perdita sono solo due sensazioni di facciata che nascondono dentro di loro comunque della felicità? Cos’è la paura?

Il protagonista è l’autore stesso che scrive in prima persona. Irvin D. Yalom è uno psichiatra e scrittore. Nella sua carriera, durata quasi cinquant’anni, ha incontrato molte persone che hanno saputo davvero insegnargli molto della vita e della psiche umana.

Trovandosi in vecchiaia a domandarsi perché, pur avendo sempre rifiutato la madre, vergognandosi per il comportamento di lei e per la sua ignoranza (anche se era molto intelligente) causata dall’impossibilità di poter studiare che ha subito perché donna, continua a sognarla, a pensarla, come se volesse avere la sua approvazione, pur essendo lei morta da dieci anni. Yalom decide allora di ripensare ai suoi pazienti e ai casi più eclatanti che hanno saputo dargli maggior insegnamenti.

Nasce così Il senso della vita,  con 6 casi particolarmente significativi per lui. Sei storie fantastiche che mettono ciascuno di noi davanti ai propri fantasmi e alle proprie paure. Il tema è la morte, il principale tema di tutta la nostra vita e che influenza inconsapevolmente (forse), gran parte delle nostre scelte. 

Ogni volta Yalom ascolta, aprendo la sua mente completamente per imparare sempre di più dai suoi pazienti, addentrandosi nel labirinto della mente umana, creando un rapporto psichiatra-paziente completamente nuovo, completamente diverso da quello che gli hanno insegnato e che viene usato regolarmente e questo suo modo di lavorare è davvero unico e speciale che sono una persona fortemente empatica ed intelligente può sviluppare. 

Descrizione molto profonda del dualismo nei confronti della madre. Da una parte l’ha sempre evitata, dall’altra invece continua a cercarla per ottenere la sua approvazione e la sua stima. Tutto questo ha sollevato in me questa osservazione: noi non conosciamo davvero i nostri genitori e se non affrontiamo questi vecchi fantasmi, rischiamo di rimanere figli tutta la vita.

Yalom, pur essendo autore di moltissimi libri sui filosofi, nel Il senso della vita usa uno stile narrativo diverso: una prosa leggera che arriva direttamente al nostro cuore attraverso la descrizione di tutte le emozioni umane dei suoi personaggi. La conclusione è che il verso senso della vita, è il VIAGGIO interiore che può portare alla guarigione dell’anima solo attraverso la propria autoconsapevolezza che è personale, unica ed irripetibile. Ma la vera domanda è : Cosa è la propria AUTOCONSAPEVOLEZZA?

Buona lettura!

Nb: questa recensione è molto interessante, clicca qui e leggila

La Ballata di Adam Henry

di McEwan, Enaudi , Giulio Enaudi Editore – 10 euro

La vita di Fiona May, giudice dell’ Alta Corte britannica, ormai sessantenne, moglie devota, irreprensibile lavoratrice e stimata professionista, si trascina un po’ stancamente nella routine e nei molteplici impegni quotidiani, quando, improvvisamente, è travolta da vicende personali e lavorative che la segneranno inesorabilmente.

Da una parte il fallimento del proprio matrimonio a causa del marito Jack, docente universitario in cerca di nuove ” emozioni”, dall’ altra un tormentato caso legale che è chiamata a risolvere riguardante un diciassettenne gravemente malato, Adam Henry, e bisognoso di urgenti cure mediche salvavita contrarie al proprio e familiare precetto religioso.

Questo romanzo di McEwan affronta un tema delicato e controverso, ovvero quel confine sottile tra soggettivita’ ed oggettivita’, libero arbitrio e legalità’, auto-determinazione e diritto alla vita, eta’ e capacità’ decisionale, religione ed etica.

Lo fa in uno psico-dramma che è perfetta alternanza di vicende personali e riflessioni sul senso della vita, calma apparente e turbinio emozionale, proprio ed altrui, sullo sfondo di una Londra al solito grigia e piovosa.

I temi toccati sono molteplici e di somma importanza, concernono la religione, l’ etica, il buon senso, la morale comune, la legge, lo stato, la responsabilità’ genitoriale, medica, i protocolli di cura, tutti elementi oggettivamente presenti e fonte di acerrima discussione legale.

Perché’ e’ giusto che Adam continui a vivere, al di là’ di cervellotiche dissertazioni e guerre intestine genitoriali o precetti religiosi astrusi ed invadenti? Al termine della lettura sono molti gli interrogativi irrisolti, ma non è confusione narrativa, è solo abbondanza di temi, ed è voluta.

McEwan ha affollato e accatastato un locale disadorno una moltitudine di tracce e di storie che sta a noi scoprire, riflettere, collegare, approfondire, sviscerare.

Nel Guscio

di McEwan, Enaudi , Giulio Enaudi Editore – 10 euro

La gravidanza di Trudy è quasi a termine, ma l’evento si prospetta tutt’altro che lieto per il suo piccolo ospite.

Ad attenderlo nella grande casa di famiglia (e nel letto coniugale) non c’è il legittimo marito di Trudy e suo futuro padre, John Cairncross, poeta povero e sconosciuto, innamorato della moglie e della civiltà delle parole, ma il fratello di lui, il ricco e becero agente immobiliare Claude. Dalla sua posizione ribaltata e cieca, il nascituro gode nondimeno di una prospettiva privilegiata sugli eventi in corso, ed è lui a metterci a parte di una vicenda di lutto e di sospetto dagli echi assai familiari.

Certo, la scena non è quella corrotta e claustrofobica del castello di Elsinore. Certo, i due cognati fedifraghi, Trudy e lo zio Claude, non hanno regni nordici cui aspirare. Piuttosto a far gola ai due vogliosi amanti è l’edificio georgiano su Hamilton Terrace, decrepito ma d’inestimabile valore, incautamente ereditato da John, i cui pavimenti luridi e la cui onnipresente immondizia prendono il posto del marcio in Danimarca.

Ma amletico è il crimine orrendo che il narratore vede (o meglio sente) arrivare, e amletico è pure il suo inesauribile flusso di pensieri dubitanti, gli stessi che hanno inaugurato al mondo la danza della modernità.

Se nel testo shakespeariano l’origliamento, l’atto di spiare e raccogliere informazioni rovistando i recessi e gli anditi del regno, è spesso motore dell’azione, nel guscio l’udito è il senso privilegiato per ragioni fisiologiche, e a essere rovistati a pochissima distanza dal capo dell’inorridito narratore sono spesso e volentieri i recessi e gli anditi del corpo materno.

Mentre all’orecchio non sempre affidabile del nostro eroe non-nato si dipana la tragica detective story, nella manciata di giorni che separano il suo «esserci» dal suo protetto «non-esserci» ancora, con il conforto di qualche buon vino giunto fino a lui dalle superbe degustazioni materne, e costantemente edotto sul mondo dai programmi radiofonici di approfondimento culturale che fortunatamente Trudy preferisce a quelli musicali, il nascituro ha tempo di riflettere su di sé, sulla complicata faccenda dell’amore, sul mondo, coi suoi orrori contemporanei e con le sue desiderate meraviglie.

Ha tempo e curiosità sufficienti per farsi domande, interpretare i segni della sua realtà mediata, contemplare azioni e concludere che la sua sola salvezza, la salvezza dell’uomo, sta forse nell’esitazione.

Il Diavolo in Corpo

di Raymond Radiguet, Rizzoli, 2009, p. 185

Possiamo ben immaginare la quiete di un laghetto circondato da un bosco rado in un fresco pomeriggio estivo. Ed ecco la scena.

Lei ha un cappellino di paglia e un nastrino nero al collo. I capelli, con qualche ricciolo che sembra una parola sconcia sulla bocca di un ragazzino impubere, anch’essi neri, sono legati dietro la nuca. Il vestito leggero è a righe verticali bianche e amaranto, scollato quel tanto che lascia intravedere un seno non generoso ma sensuale. La barca a remi – e già, perché è lei che rema – scivola piano sull’acqua più ferma di un ragno che sta per predare una mosca. E lui? Lui ha gli occhi chiusi, la testa appoggiata tra le sue gambe, la camicia celeste come incollata al corpo dall’immaturità e dalla debolezza del suo carattere. E quello che vedete tra i due, che entra ed esce dalla loro pelle, che tiene le mani su quelle della ragazza e l’aiuta a remare (o a star ferma?), che le fa aggrottare le sopracciglia o sorridere in modo amaro, che tenta di non far aprire gli occhi di lui, che gli trattiene il respiro, più a noi che a lui in verità, beh, quel tale porta il nome invisibile di Diavolo. Possiamo finanche leggere le sue labbra, dato che come tutti sanno, il Diavolo non parla, mentre sussurra peccato.

Peccato, ecco cos’è quel di scabroso che può esservi in una storia d’amore e passione tra un’adolescente e una “signora” di diciotto anni, dato che è sposata e il marito è al fronte per difendere la patria. Si attenua il disprezzo dei sentimenti dall’atmosfera irreale di un sogno, dalle metamorfosi continue di ciò che accade nella fanciullezza in cui tutto è alterato. È una catastrofe sobria, tenera e ben proporzionata all’età dei protagonisti, e dello scrittore. Che, forse non a tutti è noto, ha scritto questo libro a sedici anni.

A tratti è l’amore, a tratti il disamore, il sospetto del tradimento, l’infedeltà, non sapere cosa fare, sapere cosa fare “…a forza di pensare a Marthe, ci pensavo sempre meno. Nella mia mente succedeva quanto capita allo sguardo che vaga sulla tappezzeria di carta della camera. A forza di guardarla, gli occhi non la distinguono più…”. Ragazzetti, capricciosi e volubili, ecco quello che sono. Ma cosa c’è da imputare, a dar colpa a un bimbetto o poco più se questa è la sua natura. Com’è appunto la natura del Diavolo che racconta, e sì, è lui che racconta (o mi sono sbagliato?) con crudezza una semplice storia d’amore tra due adolescenti. Ci trascina e ripete ossessivamente durante tutto il libro e con pedanteria, come solo gli adolescenti sanno essere, l’amore e il non amore, la passione e il disincanto. Come l’ambiguità di chi non sa ancora chi e cosa vuol essere e soprattutto cosa vuol diventare. Il tutto sotto la maestosa regia dell’incantatore primigenio, del dissimulatore, del perverso mentitore. Che, come noto, non è il Diavolo ma lo scrittore.

Leggiamolo dunque, leggiamo “Il Diavolo in Corpo” di Raymond Radiguet, Rizzoli, 2009, p. 185 e soprattutto guardiamo il film del 1947 con Gerard Philippe.[1] Ma mi raccomando, non quello di Marco Bellocchio, per carità!

[1] Di Gerard Philippe vi suggerisco di vedere anche “Juliette o la chiave dei sogni” di Marcel Carnè, “Il piacere e l’amore” di Max Ophuls, insomma tutti i suoi film…

Nove Vite come i GattiNove Vite come i Gatti

di Marcherita Hack e Federico Taddia – best BUR

128 pagine  – 9 euro

Bellissima Biografia di Margherita Hack (astrofisica e intellettuale di fama mondiale 1922-2013) E’ stata presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli agnostici razionalisti. Che dire di questo libro se non di leggerlo: semplici nei suoi contenuti ma complesso nella lettura della personalità della Hack. Vi riporto solo qualche frase che mi è piaciuta molto: “La felicità è essere contenti di ciò che si ha!”, un mio collega di Merate di diceva sempre: “sei un besione tutto stupore e senso” Mi ritrovo abbastanza in questa definizione. Non ho mai avuto tormenti metafisici, ma a volte mi meraviglio guardando la vistità di quello che ci circonda. Mi meraviglia l’infinità di relazioni che tengono in piedi il mondo per come lo conosciamo, ma mi limito a registrarle e a prenderne atto. Non è una sensazione che mi tormenta. E ancora : ma anche adesso nonostante gli anni e gli acciacchi, tante cose mi danno ancora la felicità. Il mio lavoro, scrivere, stare con Aldo (marito) e con i miei animali, la vita di tutti i giorni. a novant’anni c’è chi mi chiede se ho rimpianti, ma non è un sentimento che mi appartiene. Altri, lo vedo nei loro occhi, vorrebbero sapere perchè non ho figli. Ma credo che la risposta potrebbe lasciarli delusi: Aldo ed io non li abbiamo voluti, perchè non abbiamo quella vocazione……. BUONA LETTURA!

la lettrice testardaLa lettrice testarda

di Amy Witting – Garzanti Editore

165 pagine  – 16 euro

Romanzo di formazione, storia di Isobel che deve fingere di essere più gentile, stupida e insipida di quel che è.
Fin quando scopre e si immerge nelle letture che fanno breccia nelle sue insicurezze fino a insegnarle il coraggio di dire finalmente quello che pensa.

La scoperta del giardino della menteLa scoperta del giardino della mente

di Jill Bolte Taylor – Oscar Saggi

176 pagine  – 13 euro

E’ la storia di un medico di 37 anni, laureata ad Harvard e lavora come neuroscienziata. Una mattina si sveglia e avverte qualche cosa di molto strano…. cerca di fare le cose come tutti i giorni ma il suo corpo non rispende più ai comandi della mente. Si rende conto molto preso di aver avuto un ictus. Da quel momento la sua vita cambia, tutto cambia.

Il suo emisfero cerebrale sinistro è danneggiata dalla emorragia che si è creata con l’ictus. Sopravvissuta all’ictus, la sua vita riprende avendo a disposizione solo l’emisfero destro per un lungo periodo. Il recupero sarà lento e difficile ma in questa tragedia, Jill percepisce una realtà del tutto diversa e che le permette di fare un percorso personale e professionale di crescita alquanto anomalo ma di grande spessore emotivo, personale e relazionale. Il recupero avverrà in ben lunghi 8 anni e Jill potrà tornare ad essere di nuovo un medico di successo ma con una consapevolezza di se e dei propri pazienti, completamente diversa.

Un libro bellissimo che capovolge tanti schemi di pensiero e di conoscenza. Molto consigliato per chi vuole fare un viaggio all’interno di se stesso.

il giovane holden

Il giovane Holden

di J.D. Salinger Edizione Super ET Enaudi

251 pagine  – 11,40 euro

Il giovane Holden è il romanzo più celebre di Jerome D. Salinger (1919-2010), uno scrittore americano che visse infatti buona parte della sua vita in solitudine e facendo una vita molto ritirata dal mondo.

E’ oggi considerato uno dei più importanti autori americani del ventesimo secolo.

Il giovane Holden, pubblicato nel 1951 è un libro che continua ad avere buone vendite malgrado il passare degli anni, ed è considerato un classico novecentesco della letteratura giovanile.

Il libro tratta temi  come la solitudine, il cinismo, l’ipocrisia e la difficoltà di affrontare il mondo, probabilmente temi molto a cuore per ‘autore.

La storia è ambientata negli Stati Uniti degli anni Cinquanta.

Holden Caulfield il protaagonista del libro è anche narratore di sè stesso e quando scrive le diverse vicende ha solo 16 anni.  Holden è stato mandato via  dal college dove vive e studia perché ha sostenuto un numero insufficiente di esami e quindi deve tornare a casa.

E’ un romanzo molto “emotivo” nel senso che Holden vive e racconta tutti gli eventi che gli capitano dal punto di vista del suo “sentire” se stesso e la percezione che ha della realtà e degli altri. Durante il suo ritorno verso casa vive e racconta una serie di avventure che gli capitano e ogni volta lui ci permette di entrare nel suo mondo emotivo e nel suo vissuto personale e questo è particolarmente interessante.

Nel suo racconto emerge in modo chiaro il suo rapporto particolarmente intenso e forte con la sorella e sarò proprio lei ad influire su alcune scelte della sua vita. La sorellina emerge come un personaggio femminile gradevole, positivo e ben determinato e con sani principi che riesce comunque con il proprio modo di essere ad incidere in modo positivo nella vita di Holden.

Le ultime parole della voce narrante non svelano cosa sia capitato ad Holden in seguito: si accenna solo alla tubercolosi che lo ha colpito e che lo ha spinto a ricoverarsi per un periodo in un sanatorio e alla sua decisione, per l’anno seguente, di riprendere gli studi.

Mi è piaciuto molto questo libro perchè penso che ognuno di noi in qualche modo si possa riconoscere e non solo durante l’età della adolescenza. Holden si trova nel confine tra età giovanile ed età adulta, dove ancora lui non osa varcare la soglia ed entrare nel mondo adulto non si capisce se per scelta o per inconsapevolezza. Vede il mondo adulto come un mondo spesso falso e perverso che lui giudica e condanna.

In un certo modo ne emerge un personaggio con una certa presunzione morale ed anche una certa dose di demandare la propria responsabilità agli altri.

Questo vuoto che mancanza di senso che Holden trova all’esterno in realtà non è che uno specchio della propria anima tormentata che non riesce ad uscire veramente dal mondo dell’infanzia.

Il distacco, misto spesso a disprezzo e cinismo, che egli prova per il mondo degli adulti – ma di cui lui stesso è sovente corresponsabile – ha il suo contraltare nell’esaltazione dell’innocenza, impersonato in particolar modo da Phoebe, la sorellina ancora bambina che pare avere una saggezza innata ma anche questo è frutto della sua interpretazione della realtà ma sarà proprio la sorellina a far fare ad Holden il primo passo verso la sua crescita ed entrata nel mondo adulto.

 

Il Circolo Feldenkrais del …Benessere letterario

Le lacrime di Nietsche

di Irvin D. Yalom BIBLIOTECA nERI pOZZA

439 pagine  – 12,50 euro

Un bellissimo libro che consiglio di leggere a chi è appassionato di introspezione, analisi, psicanalisi e psicoterapia .

E la storia di Josef Breuer, il medico del momento, uno psichiatra che ha in cura nomi illustri viennesi, che viene contattato da Lou Salomé, una donna bellissima e affascinante che gli chiede di aiutare il suo amico Nietzsche, entrato in una profonda crisi che potrebbe portarlo al suicidio.

Ma come fare ad aiutare una persona senza che questa ne sia a conoscenza?

Davvero una cosa impossibile si potrebbe pensare.

Come si può portare in terapia chi non desidera esserlo.

Ma il dottor Breuer trova un modo rocambolesco di realizzare questo aiuto e ciò fingendo di essere lui il paziente del filosofo.

I ruoli si scambiano e i giochi si ribaltano.

Da qui inizia una esperienza fra i due unica e speciale dove entrambi si aprono l’uno all’altro in modo sincero ed autentico al punto tale da risolvere, almeno in parte, alcuni sintomi che li affiggevano.

Il mezzo che viene usato è quello che loro chiamano “la cura del parlare” o meglio “spazzare il camino” ed è in questo spazio che i due uomini lasciano uscire tanti aspetti emotivi celati dal ruolo sociale e culturale che occupano e ovviamente dai pregiudizi sociali dell’epoca. 

Entrambi realizzano di essere sia paziente che terapeuta e non certo per gioco perché la posta si fa alta.

Questo romanzo cosi particolare si basa su personaggi veri ma contiene storie romanzate ma sempre basate su fatti realmente accadutI.

La fine non è scontata e non la racconto perché è da scoprire pagina dopo pagina tenendo conto che non esiste una panacea per tutti i mali e nel finale viene data a ciascuno la responsabilità di intraprendere nella propria vita un viaggio del tutto personale e non replicabile dove l’altro ci possa fare da specchio per scoprire chi siamo o cosa davvero desideriamo per noi stessi.

CONSIGLIATISSIMO

Lo Zen e il Tiro con l’Arco

di Eugen Herrigel 

100 pagine  – 8,50 euro

Un libro lento ma molto interessante letto in un epoca in cui siamo tutti di corsa e l’arte del “far bene le cose” viene messa da parte.

Nel 1924 Eugen Herrigel, un giovane docente tedesco di filosofia, ottenne una cattedra presso l’Università Imperiale del Tohoku, presso la città di Sendai, e nel tentativo di comprendere i principi di quella che considerava la “filosofia” orientale.

Il professore vuole avvicinarsi allo Zen e sceglie sceglie la pratica del tiro con l’arco giapponese sotto la guida del maestro Awa Kenzo (1880-1939), per cinque anni. Comincia così il suo emozionante tirocinio dove il professore si troverà costretto a capovolgere tutte le sue idee e soprattutto il suo modo di vivere.

L’aspetto interessante di questo libro è che l’allievo scoprirà che nell’apprendere questa arte non solo sono sbagliati i suoi gesti ma anche le sue intenzioni o meglio sono sbagliate le sue intenzioni che alla fine rendono ogni gesto inefficace! 

Questo libro è stato scritto più di 70 anni fa ma per me oggi è davvero attuale…. in un modo dove tutto è di corsa, è fondamentale riscoprire l’arte del far bene le cose. La “bellezza” del far bene che oggi si è davvero smarrita in una corsa senza fine e spesso senza senso in cui a volte mi sento tirata dentro anche io.

Il libri è in primo luogo uno dei primi resoconti scritti da un occidentale in relazione all’arte dello Zen.

Entrare veramente nella filosofia Zen credo che sia impossibile per un qualsiasi occidentale ma penso che ognuno di noi ne possa ricavare qualche cosa di speciale. 

Certo 5 anni sono un periodo davvero breve per entrare davvero dentro una filosofia cosi diversa dalla nostra ma a me a dato tanto e gli spunti di riflessione sono stati molti. 

Ho provato a leggere anche altri libri scritti da orientali ma questo libro è quello che più mi è arrivato “dentro” e forse proprio perchè lo scrittore parte da una visione della vita che è simile alla mia, cioè quella occidentale.

 Vi lascio con una bella frase, tratta dal libro : “La vera Arte, è senza scopo, senza intenzione! Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il suo bersaglio, tanto meno le riuscirà l’una cosa, tanto più si allontanerà l’altra. Le è di ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa a ciò che non fa che avvenga” Buona lettura!

Il Circolo Feldenkrais del …Benessere letterario

Madame Pylinska e il Segreto di Chopin

di Eric Emmanuel Schmitt 

93 pagine  – 10,00 euro

Un piccolo libro, quasi un racconto, dal respiro tenue come vento tra alloro e ligustro. Che si carica di profumi quando li attraversa e ci restituisce intatto il gusto della lettura.

Uno studente, amante della musica, vuole approfondire il pianoforte e la conoscenza di Chopin.

Si affida dunque alle bizzarre cure di madame Plynska, che sono tutt’altro che lezioni di piano.

Sentire i rumori del bosco, il gioco del vento tra gli alberi, raccogliere margherite di primo mattino senza far cadere le gocce di rugiada. Strano vero? Eppure questa consonanza con la vita e la natura gli fa riscoprire la vera essenza della musica di Chopin.

Un mondo a sé, autonomo, completo, senza porte né finestre, strumento docile e sensibile, nobile che serve per esprimere tutto dell’animo umano.

Quando incanta, con i suoi notturni, Chopin chiede quasi scusa e si ritira subito.

Madame chiede allo studente di andare a lezione dopo aver fatto l’amore o dopo aver tirato sassolini nell’acqua per vedere l’espansione dei cerchi…

“Chopin esige deconcentrazione, si lasci andare di più …”

Lo studente è irritato e abbandona le lezioni.

Tuttavia un doloroso evento gli fa capire come quelle bizzarrie mentali e l’eccentrico comportamento di Madame non erano altro che il percorso verso l’anima della musica e il genio di Chopin che “rende bello ciò che non lo è e porta a culmine ciò che lo era già”.

Non è importante suonare il pianoforte ma cercare la propria strada per arrivare al silenzio della bellezza, allo stupore dell’aria che respiriamo.

Un racconto che non passa dalla testa ma va diritto nell’anima…
…buona lettura.

Il doppio e le sue menzogne: La trilogia della città di K. 

di Agota Kristef

xxx pagine  – 0000  euro

Trilogia della città di K. è il contorto e coinvolgente romanzo della scrittrice ungherese, poi naturalizzata svizzera, Agota Kristof.

Il libro si compone di tre parti (Il grande quadernoLa prova e La terza menzogna) pubblicate separatamente tra il 1986 e il 1991 e pubblicate in Italia per la prima volta riunite nel 1998.

Al centro della vicenda ci sono i due gemelli Lucas e Claus/Klaus (nomi anagrammati) e la loro crescita e formazione in un’epoca di guerre in un paese indefinito, in cui però si scorge l’Ungheria del periodo tra la Seconda guerra mondiale e l’invasione russa.

Nella prima parte, Il grande quaderno, i due protagonisti hanno tra i 7 e gli 8 anni e sono costretti, a causa della guerra, ad abbandonare la Grande Città e trasferirsi dalla nonna che abita in un piccolo villaggio di frontiera; vecchia, sudicia e scorbutica, la donna abitua i bambini a vivere senza gli agi e l’amore dell’infanzia, insegnando loro a lavorare la terra per guadagnarsi da vivere e a crescere senza l’aiuto di nessuno.

Lucas e Klaus, i cui nomi non vengono mai rivelati nel primo libro, appaiono come un’unica entità inscindibile, non esiste l’uno senza l’altro, c’è un noi narrante che potrebbe essere sostituito tranquillamente da un io. I due sono bambini dotati di un’intelligenza straordinaria anche dal punto di vista emotivo, determinati a sopravvivere in quel mondo inospitale in cui sono capitati, si sottopongono a un duro addestramento che prevede pene fisiche e morali inflitte vicendevolmente col solo scopo di fortificarsi.

I due gemelli attraversano gli orrori della guerra, gli omicidi, le violenze sessuali, le perversioni, i soprusi, con leggerezza, senza soffermarsi sul dolore che ne deriva, semplicemente vivendo quello che accade come un qualcosa di ineluttabile. Su un grande quaderno riportano poi tutto ciò che accade loro, senza arricchire le descrizioni dei fatti con impressioni personali o pensieri, la regola è quella di scrivere solo la verità oggettiva delle cose.

Alla fine della prima parte l’unità inseparabile si scinde: uno dei gemelli varca la frontiera e lascia il villaggio assediato dai militari, l’altro rimane lì a curare quel che resta degli possedimenti della nonna.

La seconda parte del libro, La prova, ha per protagonista il solo Lucas, il gemello rimasto nel villaggio.
All’inizio la Kristof ne descrive l’enorme dolore per la perdita del fratello, la sensazione di vuoto e di spaesamento che lo costringono in un letto per mesi interi mentre il campo della nonna va a male e le bestie nella stalla sopravvivono a stento.

Poco alla volta però Lucas si riprende, complice l’arrivo improvviso nella sua vita di Yasmine, una ragazza del paese rimasta incinta a seguito di una relazione incestuosa col padre. Il ragazzo, che adesso ha circa quindici anni, l’accoglie in casa e le dà un posto dove stare. Il bambino nasce menomato, ma Lucas se ne prende ugualmente cura al punto che quando Yasmine decide di lasciare il villaggio e tentare la fortuna nella Grande Città egli la costringe a lasciargli il piccolo, di nome Mathias, a cui si è ormai affezionato. Nonostante la malformazione fisica il bambino si rivela intelligentissimo, al pari dei gemelli del primo libro, ma la sua vita è segnata dalla solitudine e dalla sofferenza per quella pietosa condizione corporea e nemmeno l’amore di Lucas riesce a salvarlo.

All’altro gemello si accenna poco in questo libro, egli è un ricordo dai contorni così sbiaditi che il protagonista, e a un certo punto anche il lettore, si chiederanno se sia mai esistito davvero o se sia solo frutto della sua fantasia.

Nella terza e ultima parte, La grande menzogna, compare Claus/Klaus, il gemello andato in città. In realtà quella che viene raccontata qui è una storia completamente diversa da quella a cui avevamo creduto.

Claus racconta di una famiglia come tante, spezzata da tradimenti e gelosie e da un incidente che segnerà per sempre le loro esistenze; di una vita solitaria passata accanto di una madre sotto psicofarmaci che vive nel fantasma dell’altro figlio creduto morto; di un’angoscia che muta in gelosia alla vista di quella metà che pensava aver perso per sempre.

La magia del primo romanzo, il mondo surreale e incantato della loro infanzia, la lucidità e la grandezza d’animo che li avevano caratterizzati da bambini, qui svaniscono lasciando spazio ai disagi personali dell’uomo moderno, che vive con meschina piccolezza la quotidianità.

La Kristof rende questo libro semplice da leggere, riuscendo solo così a bilanciare la profondità di quello che descrive; le scene degli abusi sessuali, degli omicidi, delle violenze sono descritti in maniera asettica, senza quel gusto macabro per il dettaglio che disgusta o turba chi legge; il rigore con cui i protagonisti attraversano una vita di macerie è lo stesso con cui la scrittrice ne parla.

Inoltre in un momento storico in cui si è abituati a parlare dei propri problemi fino alla nausea, a cercare qualcuno che compianga per le proprie sciagure, i protagonisti di questo romanzo insegnano a vivere a pieno, accettando anche ciò che di brutto accade come un elemento necessario all’esistenza umana.

L’Animale morente – di Philip Roth – Feltrinelli

113 pagine  – 9.50 euro

L’Animale morente:

L’animale morente di Philip Roth (Einaudi) è un libro molto particolare.

Il protagonista è David Kepesh, un professore universitario con la fissazione per il sesso. Si porta a letto tutte le studentesse che desidera ma solamente dopo la fine del corso.

La sua vita viene stravolta dall’arrivo di Consuela Castillo bella studentessa cubana conscia della propria femminilità ma non ancora abituata ad usarla a suo piacimento. Consuela non è come tutte le altre studentesse frequentate in passato. Ha ricevuto un’educazione rigida e conservatrice e dentro di lei abitano due anime: quella cubana e quella americana. Difficile separarle.

All’inizio sembra il professore ad esercitare potere su di lei. Ma poi la gelosia lo divora nonostante sappia che il rapporto è molto sbilanciato.

Il nostro protagonista è separato dalla moglie non è riuscito ad instaurare un rapporto soddisfacente con il figlio che, ultra quarantenne, è intrappolato in un matrimonio infelice ma non ha il coraggio di uscirne per paura di ricalcare il fallimento paterno.

Ma con Consuelo viene rimessa in discussione la sua intera esistenza.

L’animale morente è…

un bellissimo libro con una storia particolare in qui è difficile non trovare parti di sè stessi in qualcuno dei personaggi. Il finale poi ti lascia senza parole ….. e con il senso di perdono per tutti i personaggi! Direi MOLTO CONSIGLIATO

La donna e il burattino – di Pierre Louys – Edizione ES

141 pagine  – 22.000 lire

La donna e il burattino:

racconta di un amore impossibile (ma quale amore, direte voi, è possibile?) tra André, un hidalgo nobile spagnolo, e l’avventuriera Conchita, bellissima donna che gli si nega.

Conchita è l’archetipo femminile della dissipazione amorosa, come la Carmen di Mallarmé, o Matilda nel Monaco di Lewis, o Lola (ricordate il film L’Angelo azzurro con Marlene Dietrich?).

E via ancora, a milioni di donne femme fatale o dark lady che siano che costringono l’uomo al cortocircuito dell’amore non corrisposto. Che mostrano fino a qual punto la malizia può condurre a una passione sfruttata fino alle estreme conseguenze dal cinismo e dalla perversità di una donna.

La storia si svolge in una Siviglia fine de siecle durante il carnevale – e quando se no? –. Mille avventure, inseguimenti, lasciarsi e ritrovarsi per poi di nuovo perdersi. Ci si mostra, si nega, si scompare. Difficile non essere coinvolti. E spaventati. Più lei gli sfugge, più in lui si accende il desiderio.

Ma in realtà è il connubio fra due persone dove Eros è dolore, perversione, possesso e fuga…  La passione si sà, è tale in quanto ci deve far soffrire, dannare, tormentare… se cosi non fosse si trasformerebbe forse in un “tiepido ma poco stimolante” matrimonio! E a qualcuno tutto questo non basta!

L’Indifferente di Marcel Proust – Edizioni La Vita Felice

55 pagine  – 6,50 euro

L’Indifferente

E’ un piccolo racconto ritrovato negli anni settanta del secolo scorso. Questa volta è una donna, Madeleine che fa di tutto perché il suo Lepré, considerato da tutti una nullità, si innamori di lei.

Tuttavia M. Lepré è un ragazzo affascinante ma ha un vizio: ama alla follia le donne ignobili che si raccolgono nel fango. Un amore ignorato e non corrisposto.

Amour fou di una donna bella, affascinante, elegante, doti riconosciute in tutti i foyer parigini o nei salotti che contano, che si stupisce come il proprio amore sia destinato ad accendersi proprio nel momento in cui l’uomo le fa capire la sua mancanza di interesse. Più lui gli sfugge, più in lei si acuisce il desiderio.

Madeleine arrossisce per la mortificazione, si indigna, finanche si umilia (ricordate il film Marocco con Marlene Dietrich?) per un uomo che non ha nessun pregio se non quello di mostrare verso di lei, e verso l’amore, la più pura e assoluta indifferenza.

Di sicuro Cesare Pavese non aveva letto questo piccolo, freddo dramma inconsueto… E poi chi non ha mai pensato di essere cosi “speciale” e quindi indegno/a di qualsiasi rifiuto! Ai lettori l’ardua sentenza!

LA CHIMERA DI VASSALLILa Chimera – BUR Contemporanea

361 pagine  – 13 euro

La Chimera

La Chimera è una storia triste che ci appartiene, un romanzo storico. Alcuni personaggi sono esistiti e Antonia, la strega, pure ! Condannata a morte sul rogo prima dei 20 anni. Una vita dura, difficile con il solo neo di essere bellissima e solare. Da qui le invidie e le cattiverie dei suoi compaesani. Sia uomini che donne.

Vassalli ha ricostruito la vicenda partendo dalle carte del tribunale e ricostruendo romanzescamente la sua storia personale.
La chimera non è una biografia ma narra la nascita di un pregiudizio. Come nasce, cresce ed arriva al suo tragico compimento. Antonia è orfana e viene adottata da una famiglia di Zardino nella bassa noverese. Ha due grandi punti deboli: è bellissima e buona. In particolare la bellezza le sarà fatale perchè innesca il meccanismo delle invidie che sfocerà nella denuncia per stregoneria. Da un lato abbiamo gli uomini di Zardino, ricchi e meno ricchi che si innamorano di lei e vogliono sposarla. Ma il suo cuore va ad un personaggio codardo ed opportunista che la lascia quando lei inizia a diventare pericolosa. Dall’altro le donne, che la vedono come una rivale, ma anche ingenua e buona verso di loro. Questo non glielo possono perdonare, anche perchè Antonia è sempre dalla parte dei deboli, dei poveri, dei minorati, tutti elementi che concorrono ad aggravare la sua immagine.
L’accusa di stregoneria, dunque, è vendetta, forse addirittura inconsapevole, di una società ignorante e suggestionabile che coincide con la pratica della caccia alle streghe che si sviluppa in Europa a partire dagli inizi del 1300.
Le ipotetiche streghe vengono processate dal Santo Uffizio, le donne accusate vengono torturate e costrette ad ammettere il falso nella speranza di porre fine al dolore fisico terribile, alle violenze di strupro e psicologiche. Un mondo maschilista che non conosce davvero la donna e la teme, la teme fino al punto di ucciderla, ma non prima di possederla e violentarla in tutti i modi possibili.

Ora la caccia alle streghe non c’è più.. si chiama FEMMINICIDIO e continua fra noi. Buona lettura!

Il Monaco – Bompiani Editore

339 pagine  – 

Il Monaco 

E’ una bellissima lettura gotica, coinvolgente, anche ironica e sopratutto molto cruda!

Mi ha appassionato dal primo momento anche se il rischio di scambiare la lettura per qualcosa di troppo fanciullesco può essere facile, sopratutto all’inizio.  E’ un libro che parla per simboli .. stimola la riflessione ed è cosi surreale che finisce per catturare tutta l’attenzione del lettore in pochi capitoli. La storia è varia e si intrecciano vari personaggi, ognuno con una sua specifica psicologia e contestualizzazione della società medioevale ma forse per molti versi ancora attuale.

Il monaco è Ambrosio, il priore più ammirato e rispettato da tutta Madrid per la sua presunta santità.

Sotto tutto questo apparire però  si cela una personalità arrogante e nello stesso tempo fragile e perversa. A mettere in luce questi aspetti più crudeli e perversi di Ambrosio è Matilde, la donna  travestita da novizio, che vuole sedurre il Monaco per portarlo ed esplorare fino in fondo la perversità della sua anima … e ce la fa in modo magistrale.

Matilde è la strega che si può celare dentro ogni donna o meglio va a rappresentare nell’immaginario maschile che ha costellato la nostra storia millenaria, la paura di alcuni uomini di essere “ghermiti” dal femminile.  Meglio la donna “castrata”  come Madonna piuttosto che una donna libera e realizzata sia con la propria parte femminile sia maschile.. ma l’uomo rischia sempre di incontrare la presunta “strega”.. attenzione!

Si tratta di un  libro molto più  profondo di quello che appare e tutti i personaggi vengono tratteggiati in modo filosofico, psicologico e psicoanalitico.. Impossibile non ritrovare pezzi di sè stessi e delle proprie paure in questa “magica e crudele” narrazione.

E’ una discesa nell’inferno … anche del lettore !

Quanti di noi pensano di essere irreprensibili ma poi alla luce delle tentazioni .. non lo sono, oppure proiettano immagini di sè stessi molto lontane dalla realtà e rischiano di diventare attori all’interno della propria vita.

La virtù è tale solo quando viene messa alla prova, non credete?  Interessante l’aspetto fanatico-religioso del passato… un salto negli anni è stato fatto ma non fino in fondo! Molto più interessante è il tema sulla sessualità e femminilità… la stregoneria. Quello che è descritto è parte della nostra storia millenaria.. da rabbrividire!

Ciò che fa raccapricciare non è la perversione di Ambrosio ma la sua vigliaccheria. Non ha limiti nelle sue perversioni, basta che venga mantenuta integra la facciata !

CONSIGLIATISSIMO

Amore e Ginnastica – Passigli Editore

142 pagine  – (14 euro)

Amore e Ginnastica è stato pubblicato per la prima volta nel 1892, più di centoventi anni fa ma, a mio avviso, ancora tanto attuale e forse più attuale di allora. L’autore del libro, Edmondo De Amicis mi ha sorpreso per il suo spiccato senso di Humor e di ironia che certo non ho trovato nel libro Cuore.

La protagonista del libro e la maestra di ginnastica Pedani:  “Alta e robusta, larga di spalle e stretta di cintura”, direi bella come una modella atletica, una donna controcorrente che in nome della sua passione per la ginnastica, difende le donne di ieri e di oggi e le incita a diventare davvero sè stesse . Si scontra contro i pregiudizi dell’Epoca e li combatte fino alla fine del libro in un modo davvero disarmante e forse senza nemmeno davvero rendendosene contro.

Il libro racconta della passione che il segretario Celzani nutre per la bella maestra Pedani. Anche lui una buffa caricatura di un trentenne che dimostra quasi 50 anni e che sembra un prete. Ovviamente non riscuote nessuna interesse da parte della bella ed atletica maestra Pedani che vive con una amica, la maestra Zibelli, più grande di lei e già un pò sfiorita ma che nutre un ambivalente sentimento  verso la maestra Pedani. Da una parte invidiosa dei successi della collega ma nel contempo anche bisognosa della sua amicizia. La storia si snocciola a fine ‘800 contornata da tanti personaggi diversi in un modo davvero leggero ma acuto e coinvolgente.

Il finale non è scontato … e ci strappa un bel sorriso! CONSIGLIATO

La misura del tempo di Gianrico Carofiglio – Enaudi

281  pagine – (18 euro)

Un bel romanzo, scritto davvero bene, in un italiano chiaro ma di spessore.

La trama coinvolge da tanti punti di vista e soddisfa tante curiosità.

Lorenza era una ragazza bella ma insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt’altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia così, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena. Il libro è intrigante perchè mostra i retroscena di un processo, ma anche la storia intima dei vari personaggi.. e sopratutto come il tempo può essere un alleato pur nell’invecchiamento oppure un vero nemico. Non tutto ciò che luccica negli anni giovanili, luccicherà per sempre…

Vi chiederete forse cosa c’entra questo libro con il Benessere.. Per me c’entra tanto perchè fa riflettere sull’uso che facciamo del tempo e della nostra stessa vita… pur includendo sempre l’inponderabile! Buona lettura

Cleopatra – La Regina che sfidò Roma e conquistò l’Eternità.  – di Alberto Angelo – Harper Collins Italia

446  pagine – (17 euro)

Cleopatra : una femme fatale o una grande stratega?

Durante le vacanze sia io che mio marito, oltre a fare tanto sport e vivere in pieno contatto e armonia con la natura, amiamo leggere. Quest’estate durante una splendida vacanza nel sud della Corsica ciascuno aveva i suoi libri ma ogni sera, durante la cena, mio marito mi raccontava una puntata del suo libro: “Cleopatra, La Regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità”, di Alberto Angela. Un  libro che gli avevo regalato a Natale, sapendo della sua passione per la storia e della mia passione per la figura di Cleopatra.

Abbiamo cominciato per caso una sera, seduti a tavola davanti ad una terrazza sul mare ed una bottiglia di falanghina bella fresca. Tra i miei libri non vi sono spesso quelli di storia ma quel racconto ha subito catturato la mia attenzione e la mia curiosità.

Così la sera dopo volevo già conoscere il seguito, ogni sera una puntata e alla fine della vacanza era come se avessi letto anch’io questo bellissimo libro su Cleopatra,  una donna moderna proiettata nell’antichità. E, come dice lo stesso Alberto Angela, è stata proprio la sua modernità a cambiare la storia. La sua è la storia di una donna moderna.

La mia curiosità ha preso il sopravvento e mi sono letta e riletta parti di libro. Potrei dire che Cleopatra è stata davvero una donna che è riuscita a patteggiare con il maschilismo della sua epoca, avere un ruolo di potere e di grande leadership nel suo mondo e nel contempo non rinunciare ad essere  madre di 4 figli, moglie e donna.

Ancora oggi le donne faticano a crearsi una propria indipendenza e un ruolo in una società ancora molto maschilista. Questo è innegabile ed io ammiro sempre le donne che con le loro capacità, intelligenza e sensibilità riescono in qualche modo a destreggiarsi senza rinunciare a nessuno di questi ruoli. E’ per questo che sono sempre dalla parte delle mie sorelle di genere quando si trovano i mezzi per sopravvivere mantenendo la loro autonomia.

Nel corso di quest’anno spero di  raccontarvi altre storie di donne che hanno affrontato il mondo grazie al loro ingegno.

Ma lasciamo parlare l’autore. “Sola in mezzo agli uomini, in un mondo dominato dagli uomini, come ha fatto a non essere spazzata via immediatamente? A noi è giunta l’immagine di una donna sensuale, capace di sedurre gli uomini di grande valore, come Cesare ed Antonio, con il corpo e con doti femminili “speciali”. Ma questo è un clichè maschilista frutto di una cultura patriarcale romana, di autori antichi e di una propaganda a lei ostili.

Cleopatra aveva un fascino discreto, era una donna ben diversa dallo stereotipo di “femme fatale”. Difficile quindi pensare che potesse conquistare solo con la sua sensualità dei condottieri romani e legarli a lei. Anche perchè è una visione molto riduttiva: non si trattava di ammaliare una persona ad un banchetto, qui stiamo parlando di giochi di potere ad altissimo livello sullo scacchiere internazionale dell’epoca.

Non si può parlare di amore o di seduzione, ma di alleanze politiche e convenienze finanziarie.

In quest’ottica Cleopatra aveva un altro genere di “sex appeal”. Era la sovrana di un potente regno, e sopratutto ricchissimo. Il fascino di Cleopatra in un certo senso è quello di una ricca ereditiera.

Tutti i suoi uomini, da Cesare a Marco Antonio e persino Ottaviano, mirano in realtà alle ricchezze del suo Regno, più che al suo corpo… Come cacciatori di dote, sanno che la sua immensa ricchezza e la potenza della sua flotta sono essenziali per mettere su legioni, vincere battaglie e di conseguenza conquistare potere e quindi Roma.

Tutti e tre gli uomini citati, avranno un obiettivo con lei. Ed è a questo punto che subentra l’abilità di Cleopatra .

Non donna sensuale, ma donna abilissima a gestire questo suo “potere di attrazione” sugli altri, sia per fini interni al suo Regno (riuscendo a consolidare il proprio trono) sia sullo scacchiere del Mediterraneo (ampliando i confini dell’Egitto in modo eccezionale).

L’idea che lei ci sia riuscita grazie al suo corpo è ovviamente riduttiva e offensiva, frutto della propaganda romana. Certamente a volte il suo fisico è stato un tocco essenziale, come quando è comparsa davanti a Cesare dopo essere stata trasportata in un sacco, o al suo arrivo a Tarso nei panni di Afrodite. Ma in verità, più che il suo corpo, il suo asso nella manica è stato il cervello, con le sue idee, la sua abilità da stratega e i suoi progetti.

Tutto questo è frutto anche del luogo in cui è nata: Alessandria, cuore dell’Ellenismo. Cleopatra è cresciuta assorbendo una cultura magnifica, che consentiva ad una donna (specialmente se di stirpe reale) di emergere. Cleopatra ha ricevuto una importante istruzione, era colta, conosceva le lingue, ha imparato l’arte di parlare in pubblico e le tecniche per dialogare efficacemente, una dote preziosa  nei colloqui diplomatici, quando aveva di fronte a sè uomini potenti abituati alla forza, ma non alla sua altezza con le parole (uno dei pochi che forse è riuscito a tenerle testa è stato Ottaviano).

Ma tutto quello che Alessandria ha dato a Cleopatra non si può spiegare, da solo, il suo successo politico e diplomatico.

Dietro, c’era ben altro: l’intelligenza di questa donna. Era diversa dalle altre, curiosa, assetata di conoscenza, esperta in vari campi del sapere dell’Epoca. In tutta la storia nessuna altra sovrana è stata come lei; forse Elisabetta I è al suo livello, ma con una personalità ben diversa.

Se Alessandria e l’Ellenismo hanno dato un prezioso contributo al suo successo, altrettanto ha fatto Cleopatra con loro. Attraverso la capacità di stabilire alleanze e protezione con i più potenti romani della sua Epoca, lei riuscirà a far sopravvivere non solo l’Egitto, ma sopratutto la cultura ellenistica. E c’è da chiedersi, a questo proposito, come sarebbe stato il Mediterraneo antico se Cleopatra non avesse perso ad Anzio e avesse sconfitto Ottaviano. Forse non romano-occidentale come è avvenuto con Ottaviano, ma più greco-orientale con forti influenze Ellenistiche, che magari (è una ipotesi) avrebbero potuto riverberarsi fino ad oggi con sfumature nel nostro modo di vivere.

L’ellenismo è stato un momento di grazia nella storia dell’uomo, paragonabile per livello culturale , con le dovute distinzioni, forse solo al rinascimento e all’Illuminismo.  Il vero fascino di Cleopatra, in realtà, è proprio l’apertura culturale dell’Ellenismo, e non certo quel fascino buio, infido e ammaliatore che le hanno affibbiato i romani.

Forse in questo risiede il vero significato di Cleopatra nella Storia: una regina abile nel gioco delle alleanze, non c’è dubbio, però scaltra  e persino cinica nella gestione del potere, chè altrimenti non avrebbe potuto sopravvivere  in quel momento dell’antichità .

Si è detto che Cleopatra ha conquistato Roma seducendo i suoi condottieri. No, in realtà lei alla fine è stata sconfitta da Roma. Tuttavia l’ha conquistata in un altro modo: come donna.  E’ stata sconfitta come Regina, ma ha vinto come donna. Così la storia la ricorderà per sempre.” (Alberto Angela)

L’Angelo e la Strega – di Marina Castrovillari – PLANET BOOK, CSA Edizioni

111  pagine – (12 euro)

Marina è mia amica e compagna di Corso all’Arte del Burlesque. E’ una persona frizzante, spiritosa, ironica ed autoironica. Cosi quando ha scritto e pubblicato questo libro non ho potuto fare a meno di leggerlo e devo dire che mi è piaciuto tanto.

Contiene idee nuove, si legge in un batti baleno ma sopratutto ti lascia un senso di fiducia, di espansione e tantissima voglia di vivere.

Nel libro, finalmente viene proposto un uomo nuovo, un uomo che diventa strumento e parte attiva per aiutare la propria compagna a realizzare dentro sè stessa  una forte consapevolezza di essere una donna libera, femminile in quanto materna e dispensatrice di amore.

Questo è possibile perchè il protagonista ha integrato dentro di sè sia la parte maschile e virile che quella femminile legata alla propria virilità.

Questa idea di coppia “nuova” mi ha catturato perchè penso che la forza della coppia sia proprio questa: per l’uomo aiutare la propria compagna ad accedere ad una vera femminilità attraverso l’empatia e la cura per sè e  per la donna  aiutare il proprio compagno ad accedere ad una virilità autentica, la razionalità unita ad un cuore che pulsa.

Vi consiglio di leggerlo! Si può trovare il libreria e online su PLANETBOOK.IT , IBS.IT e AMAZON

Donnità – di Edda Billi – iacobellieditore

77  pagine – (12 euro)

Ho letto questo libro di poesie per caso, non conoscevo Edda Billi ma l’ho vista in TV su RAI 3 a LE RAGAZZE. Sono rimasta affascinata da questa donna nata nel 33 e dotata di tanta determinazione e coraggio. Così l’ho cercata e trovata su FB e ho visto che abita a Roma.

Edda Billi oggi è il Presidente onorario dell’Associazione Federativa Femminista Internazionale (AFFI).  Poetessa e attivista molto attiva sui temi politici, è la fondatrice della “Casa Internazionale delle Donne” a Roma ed è oggi una delle protagonista più in vista del lesbofemminismo in Italia.

Ho visto dalla sua pagina di FB che presentava un suo libro di poesie appena uscito ed io ero molto curiosa di fare la sua conoscenza, ma poi per motivi di lavoro non sono potuta andare alla presentazione ma una mia cara amica è andata all’evento e mi ha portato una copia del libro che ho letto e che vi consiglio di leggere. Penso sia davvero carino salutarvi con una sua poesia:

RIEN VA PLUS: Non portarmi carte che hai truccato, io le conosco bene. Sono quello che soltanto regine senza corona dispongono sui tavoli da gioco.

Leggi chi è Edda Billi: https://www.ilsussidiario.net/news/cinema-televisione-e-media/2018/11/4/edda-billi-la-poetessa-femminista-ripudiata-dai-genitori-per-la-sua-omosessualita-le-ragazze/1799141/

Il coraggio di ESSERE LIBERI – di Vito Mancuso – Edizioni Garzanti 

148  pagine – (16 euro)

Ho letto questo libro due anni fa, quando ho dovuto trascorrere un mese in un centro di formazione residenziale dove nessuna pulsione a stare ma che desideravo con tutta me stessa, portare a termine. Terminate le lezioni del giorno , bighellonando per il paese cercavo un “aiuto” che mi aiutasse a resistere. Ho visto questo libro. . letta la recensione.. mi sono fatta catturare.. sentivo che poteva essere l’aiuto che stavo aspettando. L’ho letto e devo dire che mi ha aiutato tantissimo a superare quel momento con la consapevolezza di fare la cosa giusta per me!

Essere liberi è un percorso difficile, arduo… e non vuol dire fare quello che si vuole, molto più facile è fare quello che a volte gli altri vogliono che noi facciamo oppure stare in schemi predefiniti..

Stare fuori dal gregge.. è una gran fatica ma anche una grande soddisfazione!

La libertà per me è dire NO, ai propri capricci, alle proprie voglie, alle proprie pigrizie, al narcisismo, alla paura e alle scuse .. un NO secco alle proprie falsità ! Quindi che fare… occorre solo rimboccarsi la maniche perchè si tratta di un lavoro per tutto il tempo che staremo su questo pianeta che si chiama TERRA!

http://www.vitomancuso.it

Libera dalle Vampate – di Grazia Sferrazza Callea – Altermind edizioni  192 pagine – prezzo 16,00 euro

Libera dalle vampate è un libro che parla di menopausa, di disturbi della menopausa e della vita delle donne in questa particolare e delicata età della vita.

Anzi, “Libera dalle Vampate” butta alle ortiche tutto quello che sapete sulla menopausa, o quasi, e inquadra la faccenda in un modo totalmente opposto.

Insomma la menopausa è tutt’altra cosa da quello che il racconto culturale della nostra civiltà ne fa e le vampate possono essere scacciate senza l’aiuto della chimica, senza rischi per la salute e senza nemmeno molta fatica.

http://www.menopausalibera.com

Pensare col corpo – di Jader Tolja e Frencesca Speciani – TEA edizioni pag.284 (12,5 euro)

La progressiva apertura alla percezione interna del nostro corpo che ha preso piede grazie al diffondersi di tecniche corporee radicate in un ascolto fisico profondo, sia orientali (come Meditazione, Tai Chi e alcune forme di Yoga) sia occidentali (come Terapia Craniosacrale e Metodo Feldenkrais), ha dato vita a un nuovo modo di studiare anatomia, non più cognitivo come l’anatomia che si studia a scuola ma, appunto, “esperienziale”.

La pratica di percezione del corpo per via esperienziale ci permette di sentire come l’interno del nostro corpo si riorganizza in relazione, ad esempio, alla nostra identità (parte prima del libro), alle fasi e alle strategia di vita (parte seconda), ad aspetti della nostra vita come spazi, tempi, relazioni, lavoro, moda (parte terza), e infine come potrebbe essere il rapporto con noi stessi e con la nostra salute se la nostra vita non venisse organizzata a partire da idee astratte ed esterne, ma dall’interno (parte quarta). […]

Il sistema nervoso è stato progettato dall’evoluzione per un motivo tanto semplice quanto fondamentale: rilevare i cambiamenti esterni e modificare l’interno del nostro corpo in relazione a questi.

Il nostro corpo, perciò, cambia di continuo e in modo significativo in un costante processo di adattamento a ogni elemento esterno: la più piccola scelta di vita che facciamo ci trasforma all’istante. E questo indipendentemente dal fatto che ce ne rendiamo conto o meno 

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