Il sesso, tredici variazioni sul tema

I

Nella mia stanza in penombra tendo l’orecchio al lento respiro di mia madre, troppo stanca e accaldata. Non vorrei svegliarla. In quest’afosa atmosfera solo due passi e la porta d’ingresso mi separano dal tuo amore. Attraverso le gelosie socchiuse bisogna fare poco rumore. Esco. Ci sono. Ci sei?

Fa piano, anche la mia dorme. Dai vieni, sdraiamoci addosso. Un bacio? Va bene. E il sesso? Cos’è? Non so, ma se siamo qui qualcosa sarà. Mi vuoi sposare? Ma stai scherzando? No, e perché? Ma perché neanche nove anni abbiamo.

 

II

Una mattina deliziosa, che aria gentile. Ho temuto per la vita preziosa delle mie tuberose. Quasi quasi mi pungo, stavolta alla rosa. Quando lei s’affaccia, nel balcone al fianco del mio, mi sorride. E io ho un moto d’istinto. E allora le ho chiesto perché non giocare se il tempo si presta. Non proprio così ma il senso era quello. Attento alle buone maniere, mi dice. D’accordo, ho una caduta di stile. Riprendo, lo vuoi un fiore? Una rosa, guarda il mio dito, una spina mi ha punto. C’è sangue, non vedi? Va via, mi dice sgarbata. Ma mica sono stato insolente, ribatto, mica ho parlato di sesso. È questo il tuo problema.

 

III

Lui faceva il turno di notte, virile. Femmina lei che sogna una porta e che le apra un signore, distinto – d’istinto? – signore al Bergasse diciannove. Gli dice che ha un appuntamento, dopo il tè, e lui cortesemente la invita ad entrare. La sua prima seduta, vero? Certo. Dunque? È che lui fa di notte il turno. Sicura? Così mi ha detto. E da me che vuole? Il successo. Certo, lo avrà, ritorni a dormire. Pensavo peggio. A richiesta eccomi accontentata, pensa tra sé. Il virile, intanto, ha finito il suo turno e lei sente d’istinto – distinto? – i due giri di chiave, miagolio di gatto, di lui che entra. Col profumo di un’altra. E succede. Dopo un po’, troppo poco, ha finito col sesso e dunque è successo. Quel che voleva l’ha avuto. Che altro voglio ancora, dice tra sé, mentre affonda il coltello nel petto di lui.

 

IV

Non c’è confusione nell’aria all’arrivo del treno. Qualcuno si affaccia con la barba di ghiaccio, rientra. Qualcun altro, un bel ragazzo, studente senz’altro, ha il bavero alzato dal freddo e, sceso, abbraccia la donna, e appoggia la spalla alla spalla. Mano nella mano. Eccomi, eccomi, buon compleanno. I due si muovono. Che pace e che silenzio, la neve fiocca. Una stanza un po’ intima, le luci soffuse, si guardano ora attraverso gli occhiali. E le parole? Stupiti di non averne. Sono meno di quante non fossero quando davvero erano lontani. E le rose? Ah, quelle, scusami cara. E il vino? Certo, ma tu non ne hai? Davvero una cena coi fiocchi, che brava che sei. Non avevo il formaggio. Non spiacerti, ho sonno. Il viaggio? Mi sa che ho preso un raffreddore. Neanche il pigiama un po’ allegro li vede d’accordo sull’ultima fase.

 

V

Durante la mezz’ora o tre quarti che precede il tuo arrivo ho provato un bel po’ di sentimenti. Affetto, inevitabile. Simpatia, probabile. Amicizia, non se ne parla nemmeno. La tavola è per due, il buon vino e le rose. C’è anche il letto rifatto con lenzuola pulite. Amore, ecco un po’ d’amore, certo che provo amore, o è sesso che voglio? Non so. Almeno fin quando le ore passate ad aspettarti non hanno trasformato le candele in cera fusa. E il mio amore? Come le ore. Forse più.

 

VI

Allora sta a sentire. Ho trovato in soffitta una tua lettera che sarà di ventitré anni fa, purtroppo non sono riuscito a leggere l’anno. Io non ti scrivevo, e tu pure. Ed eravamo pari, ricordi? Anch’io ho trovato una lettera di tanti anni fa e finalmente sono riuscito a capire perché le cose tra noi non sono andate mai bene. Perché, chiedo. Guarda le nostre lettere, nemmeno una goccia d’inchiostro. Forse è il tempo, le avrà cancellate. Tu dici? Adesso lei dorme di là. E lui, in cucina, davanti a un bicchiere di vino e al foglio di carta. Che strano effetto mi fa una penna in mano. Però, che buffe pretese che ha. E io, le mie di pretese? Io non ne ho, nessuna, proprio nessuna. E allora? Allora vado a dormire anch’io. Sul foglio una macchia di vino.

 

VII

Mi viene da chiedere il tuo consenso nel posto e momento sbagliato. Tu che te ne stai chiusa a chiave dentro il bagno ed io ad aspettare che esci. Possiamo fare un patto. Del resto siamo adulti, basterà? Il fiore che ho in mano mi sembra adesso così ridicolo mentre ti strillo le mie ragioni e tu, dall’altra parte, indugi a tirare lo sciacquone per coprire le mie parole. E devo fare pure la pipì. Va bene, abbiamo sbagliato. Almeno questa cosa possiamo dirla in due, e insieme? D’accordo? Va bene. Niente è stato più bello di quando, d’accordo e insieme, abbiamo fatto l’amore sbagliando e ricominciando a sbagliare.

 

VIII

I miei vicini di casa sono quieti. Hanno molti libri, qualcuno gliel’ho anche prestato. Lui scrive. Lei legge. O viceversa, il che è lo stesso. Qualcuno dei due rumori, il graffio della penna sul foglio o la pagina che gira, riesco a sentire di notte dall’altra parte della parete che divide la mia camera da letto dalla loro. Quando quelli finiscono, eccoli, altri suoni, l’amore. Che non mi fanno leggere, figurati dormire. Però, che gioia che dà la letteratura.

I miei vicini di casa sembravano quieti. Hanno molti libri, quelli che ho prestato me li hanno ridati per paura che si rovinassero quando un giorno, e per tutti i giorni a venire, hanno deciso di tirarseli addosso. Dall’altra parte della parete che divide la mia camera da letto dalla loro adesso c’è silenzio. Posso dormire e leggere in pace i miei libri. Però, che gioia che dà la letteratura e quale sgradevole quiete un amore finito.

 

IX

Dimmi.

È semplice.

Cosa?

Far l’amore.

Davvero?

Certo, è come il sesso, ma più bello.

Visto?

Visto cosa?

Butta giù la pasta che è meglio.

 

X

Come una brava moglie preparo i fiocchetti rosa e celeste per le mie tendine delicate come confetti e piego le trini sul bel mio lettone verdino. La bambola di biscuit è sempre là, tra i gigli di carta e quel grappolo di lettere d’un tempo passato. E osserva, la bambola, la mia andatura un po’ zoppa che fa un bel po’ di rumore, uno schiocco, in questa casa troppo grande per me. È il ricordo di una caduta da bimba. Da ragazza, intendevo, quando dietro la sua moto veloce una curva stretta assai mi ha costretto a lasciarlo andare. E lui a me. Dov’è adesso? Chissà.  Assaggio delicatamente la minestra a bollire e soffio sul cucchiaio prima di gustare. Non vorrei farmi male. Il maglione non l’ho ancora finito, mi manca il collo. Va bene. Adesso mi siedo e leggo. Voi dite che esagero se credo l’amore sempre in agguato. Il collo lo farò più stretto, molto più stretto.

 

XI

Pensa, mia cara, a uno svago letterario

A un esercizio di precisione costante

È vero, sono timido

Costruisco ragnatele d’argento

Per imprigionare orchidee

Nelle mie glorie miserabili

Le parole per dirti ti amo…

…ecco che suona, mi preparo, entra. Faccio per dirle qualcosa, magari la mia poesia, ma quella mi sbatte sul letto e vuol subito scopare! Che dire? E sia.

 

XII

Le ragazze di Milano mi piacciono, hanno gli occhi un po’ acquosi e gonfi, si alzano presto per andare al lavoro, anche quando fa freddo. Hanno i capelli biondi e il mento vagamente a punta. Sognano un orario ridotto ma soprattutto un posto a sedere sull’autobus pendolare. Così, quando ho offerto il mio posto a una bella biondina, elegante nel suo montgomery madras, lei ha subito accettato. Ma c’è stato un quasi terremoto, l’urto del tram all’incrocio. Nel fuggi fuggi generale lei ha schiacciato il suo bel volto sul mio ventre e io l’ho presa appena in tempo prima che cadesse. Le ho sussurrato dolcezze. Ma le sembra questo il momento di parlare d’amore? Veramente pensavo al sesso. Mi scusi, avevo capito male. Siamo sposati da quarant’anni.

 

XIII

Nella mia stanza in penombra tendo l’orecchio al lento respiro del mare, troppo stanco a accaldato, faccio fatica ad alzarmi. In quest’afosa atmosfera solo due passi mi separano dal tuo amore. Attraverso le gelosie socchiuse bisogna fare poco rumore. Figli e nipoti ci concedono a stento permessi di mezz’ora. Un bacio? Va bene ma fa piano. Mi vuoi sposare? Ma stai scherzando? No, perché? Ma abbiamo novant’anni. Appunto.

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