L’OMBRA

L’intera creazione esiste in te e tutto quello che è in te esiste anche nella creazione. Non esistono confini fra te e un oggetto che è accanto a te, proprio come non esiste distanza fra te e oggetti molto lontani. Tutte le cose, le più piccole come le più grandi, sono presenti in te e uguali a te. Un unico atomo contiene tutti gli elementi della terra.
Un solo movimento dello spirito comprende tutte le leggi della vita. In un’unica goccia d’acqua si cela il segreto dell’oceano infinito. Un’unica tua manifestazione rivela tutte le manifestazioni della vita.

Kahlil Gibran

L’uomo dice ” Io ” e con questo termine intende un’infinità di diverse identificazioni: ” Io sono un essere di sesso maschile, di nazionalità tedesca, padre di famiglia, insegnante. Sono attivo, dinamico, tollerante, bravo, amante degli animali, amate della pace, bevo il tè, ho per hobby la cucina, ecc. “. Queste identificazioni sono state a un certo momento precedute da scelte: una possibilità è stata preferita ad un’altra, un polo è stato integrato nell’identificazione mentre l’altro è stato escluso. Così l’identificazione: ” Io sono attivo e bravo ” esclude automaticamente: ” Io sono passivo e pigro “.

Ogni identificazione che si basa su una decisione esclude un polo. Però tutto ciò che noi non vogliamo essere, che non vogliamo ritrovare in noi, che non vogliamo vivere, che non vogliamo che entri a far parte della nostra identificazione, costituisce il nostro lato d’ombra. Infatti il rifiuto della metà di tutte le possibilità non fa certamente si che queste spariscano, ma le bandisce dalla coscienza superiore.

Noi definiamo ombra (concetto coniato da C.G. Jung) la somma di tutte le realtà rifiutate, quelle che l’uomo non vede, o non vuol vedere, e che per lui sono quindi inconsce. L’ombra è il pericolo maggiore dell’uomo, perché essa è in lui senza che lui lo sappia. L’ombra fa si che tutte le intenzioni e gli sforzi dell’uomo si trasformino alla fine nel loro opposto. Tutte le manifestazioni che derivano dall’ombra vengono dall’uomo proiettate su un anonimo ” male ” che esisterebbe nel mondo, in quanto ha paura di trovare in se stesso la vera fonte di ogni aspetto negativo.

L’ombra sono le parti di noi che non conosciamo ma che influenzano in modo inconscio tutte le nostre scelte e tutta la nostra vita.

Inoltre dobbiamo avere ben chiaro il fatto che il mondo esteriore è costruito coi medesimi principi archetipi di quello interiore. La legge di risonanza afferma che noi possiamo venire in contatto soltanto con ciò che suscita in noi una risonanza.

Proiezione significa quindi che noi proiettiamo all’esterno alcune parti di noi stessi non volendo riconoscerle come nostre. L’ombra è costituita da tutti quei principi che l’Io non ha voluto integrare, in ultima analisi ombra e fuori sono la stessa cosa. Noi sperimentiamo la nostra ombra sempre come fuori – e del resto se fosse dentro di noi o presso di noi non sarebbe più ombra, I principi rifiutati, che apparentemente ci pervengono dall’esterno li combattiamo ora appassionatamente nel mondo esterno a noi proprio come li avevamo combattuti dentro di noi.

Ritroviamo qui una legge ironica cui nessuno può sottrarsi: l’uomo si dedica soprattutto a ciò che non vuole. Nel far questo si avvicina tanto al principio rifiutato che finisce per viverlo! Il rifiuto di un qualunque principio fa con certezza in modo che la persona viva direttamente questo principio. In base a questa legge i figli col tempo assumono i comportamenti che odiavano nei genitori, i pacifisti diventano militanti, i moralisti licenziosi, gli apostoli della salute si ammalano gravemente.

I campi veramente interessanti e importanti per una persona sono proprio quelli che evita e combatte, proprio perché mancano nella sua coscienza e gli danno un senso di malessere. Una persona è disturbata soltanto da quei principi esterni a lui che non è in grado di integrare dentro di sé.

A questo punto dovrebbe risultare chiaro che in realtà non esiste un mondo circostante che ci forma, ci influenza o ci fa ammalare – il mondo circostante si comporta come uno specchio nel quale noi vediamo sempre e soltanto noi stessi, per l’esattezza anche e soprattutto la nostra ombra, per la quale in genere siamo ciechi.

Come guardando il nostro corpo fisico riusciamo a vederne soltanto una piccola parte, e non siamo affatto capaci di vederne vari aspetti (colore degli occhi, viso, spalle, ecc.) se non con l’aiuto di un riflesso nello specchio, allo stesso modo per quello che riguarda la nostra psiche siamo parzialmente ciechi e possiamo riconoscere la parte a noi invisibile (ombra) solo tramite la proiezione e il riflesso del cosìddetto mondo esterno o mondo circostante. E’ il mondo esterno che ci da un riscontro di chi siamo attraverso gli altri.

Specchiarsi serve però soltanto a chi si riconosce nello specchio, altrimenti è un’illusione. Chi vede nello specchio i propri occhi azzurri, ma non sa che si tratta dei propri occhi, si illude e non acquista conoscenza. Chi vive in questo mondo ma non si rende conto che tutto ciò che percepisce e vive è lui stesso, rimane nell’illusione e nell’inganno.

L’ombra è la somma di tutto ciò che noi crediamo fermamente che dovrebbe essere eliminato dal mondo affinché il mondo possa essere bello e sano. Ma le cose stanno esattamente all’opposto: l’ombra contiene tutto ciò che il mondo – il nostro mondo – ha bisogno di avere per sanarsi. L’ombra ci rende malati in quanto ci manca la sua presenza per poter essere interamente sani.

L’ombra rende malati – l’incontro con l’ombra rende sani! Questa è la chiave per comprendere malattia e guarigione. Un sintomo è sempre una parte di ombra precipitato nella materia. Nel sintomo si manifesta ciò che manca all’uomo. Nel sintomo l’uomo vive ciò che non voleva vivere nella coscienza.

Se una persona rifiuta di vivere un principio nella propria coscienza, questo principio precipita nel corpo e si manifesta come sintomo. Questo induce la persona a vivere e a realizzare il principio rifiutato. In questo modo il sintomo guarisce la persona – è il sostituto fisico di ciò che manca all’anima.

Non fa meraviglia quindi che noi abbiamo così poca simpatia per i nostri sintomi: essi ci costringono a realizzare quei principi che non volevamo vivere. E così continuiamo la nostra battaglia contro i sintomi – senza utilizzare la possibilità che ci era stata offerta di utilizzare i sintomi per guarire.

Proprio nel sintomo possiamo imparare a conoscerci, possiamo vedere quei lati della nostra anima che non riusciremmo mai a scoprire in noi, in quanto si trovano nell’ombra.

L’ombra rende l’uomo disonesto. L’uomo crede sempre di essere soltanto ciò con cui si identifica, o di essere solo così come si vede. Questo modo personale di valutare, secondo noi è disonesto. Naturalmente parliamo sempre di disonestà verso se stessi (e non menzogne o inganni nei confronti di altre persone). Tutti gli inganni di questo mondo sono nulla se confrontati con quelli che l’uomo nel corso della vita fa a se stesso. Onestà nei confronti di se stesso è uno dei compiti più difficili che si possano porre.

Per questo da sempre a tutti coloro che cercano la verità viene posto come primo e più difficile compito la conoscenza di se stessi. Conoscere se stessi significa trovare il proprio Sé, non l’Io, perché il Sé comprende tutto, mentre l’Io con le sue limitazioni impedisce costantemente la conoscenza del Sé, che è globalità.

Tuttavia per colui che va cercando una maggiore onestà nei confronti di se stesso, la malattia può divenire un aiuto grandioso. Perché la malattia rende onesti! Nel sintomo patologico noi viviamo chiaramente e visibilmente ciò che nella nostra psiche vogliamo eliminare e reprimere.

Riassumendo: l’uomo come microcosmo è un’immagine dell’universo e contiene la somma di tutti i principi di esistenza latenti nella propria coscienza. Il cammino dell’uomo attraverso la polarità richiede che egli realizzi concretamente i principi latenti in lui, in modo da prenderne gradualmente coscienza.

La conoscenza però ha bisogno della polarità e questa costringe di nuovo l’uomo a prendere continuamente delle decisioni. Ogni decisione spezza la polarità in un polo che viene accettato e in un polo che viene rifiutato. Il polo accettato viene trasformato in comportamento e quindi integrato a livello cosciente. Il polo rifiutato finisce nell’ombra e continua a richiedere tutta la nostra attenzione, in quanto sembra ritornare a noi venendo dall’esterno.

Una forma specifica e frequente di questa legge generale è la malattia. In essa una parte di ombra precipita nella corporeità e si somatizza come sintomo. Il sintomo ci costringe a realizzare attraverso il corpo il principio non accettato volontariamente e riporta quindi l’uomo in equilibrio. Il sintomo è la condensazione somatica di ciò che manca alla coscienza. Il sintomo rende l’uomo onesto perché rende visibili contenuti repressi.

 Bene e male

Quante volte ci siamo chieste perché esiste il male, perché conviviamo ogni giorno con il dolore, perché a volte lo subiamo e a volte lo arrechiamo? Domande fondamentali che spesso non trovano risposte.

Ci avviciniamo ad un tema che non solo è uno dei più difficili che esistano, ma è anche particolarmente soggetto a malintesi.

Proprio la trattazione di bene e male provoca grandi paure nell’uomo e ne può facilmente derivare un annebbiamento dell’intelletto e della conoscenza a causa dell’emozione che il tema suscita.

L’ombra contiene tutto quello che l’uomo ha ritenuto cattivo – e di conseguenza anche l’ombra deve essere cattiva. Sembra quindi non soltanto giustificato ma anche eticamente e moralmente necessario combattere e distruggere l’ombra in qualunque modo e situazione essa si manifesti.

Già le nostre considerazioni sulla legge di polarità portano alla conseguenza che bene e male sono due aspetti di una stessa unità e in effetto legati l’uno all’altro per poter esistere. Il bene vive del male e il male del bene – chi nutre intenzionalmente il bene, nutre inconsapevolmente anche il male. Simili discorsi possono al primo sguardo risultare spaventosi per certuni, tuttavia è difficile non riconoscerne l’esattezza sia dal punto di vista teorico che pratico.

Il nostro atteggiamento nei confronti del bene e del male è fortemente influenzato nella nostra cultura dal cristianesimo, o meglio dalla teologia cristiana – e questo vale anche per coloro che si ritengono liberi da influenzamenti religiosi. Per questo motivo per poter meglio capire bene e male ci rifaremo anche noi a immagini e concezioni religiose.

È nostra intenzione ricorrere ai racconti e alle immagini mitologiche non per trarne teorie o valutazioni, ma in quanto essi si prestano particolarmente bene a render comprensibili difficili problemi metafisici. Ci riferiamo a un racconto della Bibbia perché essa fa parte del nostro mondo culturale. Inoltre tratteremo il tema bene e male, che si ritrova identico in tutte le religioni, evidenziandone la tipica interpretazione della teologia cristiana.

Molto adatta per il nostro problema è la rappresentazione che l’Antico Testamento fa del peccato originale.

Nel racconto della creazione si legge che il primo uomo – androgino -, Adamo, viene posto nel giardino dell’Eden, di cui tra i tanti alberi sono espressamente menzionati l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. Per capire bene questo racconto mitologico è importante tener presente che Adamo non è uomo, ma androgino. È l’essere umano globale, non ancora soggetto alla polarità, non ancora diviso in una coppia di opposti.

Egli è ancora una cosa sola con tutto ¦- e questo stato di coscienza cosmica viene descritto con l’immagine del paradiso. Sebbene Adamo viva ancora nell’unità della coscienza, il tema della polarità è già presentato dai due alberi.

Il tema della separazione ricorre fin dall’inizio nella storia della creazione, in quanto la creazione avviene attraverso divisione e separazione.

La parola che Lutero tradusse con ” costola ” è nel testo originale ebraico tselah = lato, fianco, ed è parente della parola tsel = ombra. L’uomo intero, sano, viene diviso in due aspetti formalmente diversi, che vengono chiamati uomo e donna.

Però questa separazione non arriva fino in fondo alla coscienza dell’uomo, perché la differenza non viene capita in quanto sono ancora nella totalità del paradiso.

La separazione formale è però premessa per le lusinghe del serpente, che dice, alla donna, la parte ricettiva dell’uomo, che gustando l’albero della conoscenza l’uomo avrebbe avuto la capacità di distinguere tra bene e male, avrebbe cioè acquisito la conoscenza. Il serpente mantiene la promessa.

Gli esseri umani conoscono la polarità e conoscono bene e male, uomo e donna. In questo modo perdono l’unità (coscienza cosmica) e hanno la polarità (conoscenza).

Devono così lasciare senza indugio il paradiso, il giardino dell’unità, e precipitano nel mondo polare delle forme materiali.

Questa è la storia del peccato originale. Con questa ” caduta ” l’uomo precipita dall’unità nella polarità.

Le mitologie di tutti i popoli e di tutti i tempi conoscono questo tema centrale dell’umanità e lo rivestono di immagini analoghe.

Il peccato dell’uomo consiste nell’essersi separato dall’unità.

L’uomo si trova ora con una coscienza polare – è peccatore. Non c’è una motivazione di questo in senso causale.

Questa polarità costringe l’uomo a seguire la sua via attraverso gli opposti finché non ha imparato e integrato tutto e può diventare ” perfetto “, come è perfetto il Padre nei cieli. Il ” peccato originale ” fa capire chiaramente che il peccato non ha niente a che vedere col comportamento concreto dell’uomo. È molto importante rendersene conto, perché nel corso della storia la chiesa ha trasformato il concetto di peccato e insegnato all’uomo che il peccato è male ed è evitabile agendo in modo corretto. Il peccato però non è un polo nell’ambito della polarità, ma la polarità stessa. Il peccato perciò non è evitabile – ogni azione umana è peccato.

Questo messaggio lo ritroviamo espresso perfettamente nella tragedia greca, il cui tema centrale è che l’uomo deve costantemente decidere tra due possibilità, ma è sempre colpevole indipendentemente dalla sua decisione. Per la storia del cristianesimo questo malinteso teologico del peccato ha avuto un grande peso. Il costante tentativo dei credenti di non commettere peccato ed evitare il male ha portato alla repressione di determinati aspetti classificati come male e di conseguenza alla creazione di un’immensa zona d’ombra.

Questa ombra ha fatto si che il cristianesimo sia diventato una delle religioni più intolleranti, responsabile dell’Inquisizione, dei roghi delle streghe e di genocidi. Il polo non vissuto si realizza sempre – esso sorprende le anime nobili proprio quando non se l’aspettano.

La polarizzazione di ” bene ” e ” male ” come contrasti ha portato nel cristianesimo anche ad un confronto – che non ritroviamo in altre religioni – fra Dio e il diavolo come rappresentanti del bene e del male. Facendo del diavolo l’oppositore di Dio, si è portato, senza rendersene conto, Dio nella polarità – ma in questo modo Egli perde la sua forza risanatrice.

Dio è l’unità, che unisce in sé tutte le polarità, e quindi naturalmente anche ” bene ” e ” male “; il diavolo invece è la polarità, il signore della separazione o, come disse Gesù, ” il signore di questo mondo “. Così il diavolo viene sempre corredato di simboli della divisione: corna, zoccolo biforcuto, forcali, ecc.

Per usare questa terminologia, diciamo che il mondo polare è diabolico, cioè peccatore. Non c’è possibilità di cambiarlo – per questo tutti i veri Maestri invitano a lasciare il mondo polare.

Qui troviamo la profonda differenza tra religione e lavoro sociale. La vera religione non ha ancora intrapreso tentativi di fare di questo mondo un paradiso, ma ha insegnato la via che da questo mondo porta all’unità.

La vera filosofia sa che in un mondo polare non si può realizzare un solo polo – in questo mondo ognuno deve pagare ogni gioia con un uguale dolore. In questo senso per esempio la scienza è ” demoniaca ” perché promuove la polarità e la molteplicità. Ogni utilizzazione funzionale delle possibilità umane ha sempre qualcosa di demoniaco, perché l’applicazione di qualunque tipo lega l’energia alla polarità e impedisce l’unificazione. È questo il significato delle tentazioni di Gesù nel deserto: il diavolo invita in effetti Gesù soltanto a mettere le sue capacità al servizio di innocui e addirittura utili cambiamenti.

Ben inteso, se noi definiamo qualcosa ” demoniaco “, non intendiamo affatto demonizzare qualcosa, ma semplicemente abituare a riferire i concetti di peccato, colpa, diavolo semplicemente alla polarità e a definire quindi in questo modo tutto ciò che ne fa parte. Qualunque cosa l’uomo faccia, diviene colpevole e quindi peccatore. È importante che l’uomo impari a vivere con questa sua colpa, altrimenti diventa disonesto nei confronti di se stesso.

La redenzione dalla colpa è la conquista dell’unità – ma raggiungere l’unità è impossibile a chi cerca di evitare una metà della realtà. È questo che rende così difficile la via che porta alla salute – perché bisogna passare attraverso colpa e peccato.

Nei Vangeli viene continuamente descritto questo antico malinteso relativo al peccato: i Farisei rappresentano l’opinione ecclesiastica, che cioè la salvezza dell’anima la si ottiene osservando i precetti ed evitando il male. Gesù li smaschera con le parole: ” Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra “. Nel discorso della montagna supera e relativizza la legge mosaica, che era stata fraintesa attraverso un’interpretazione letteraria, dicendo che già il pensiero ha lo stesso peso della sua realizzazione materiale e concreta. Si dovrebbe notare che il discorso della montagna non rafforza i comandamenti né li rende più difficili, ma smaschera l’illusione che nella polarità sia

possibile evitare il peccato. Ma già duemila anni fa l’insegnamento puro era così urtante e irritante che si cercava di eliminarlo da questo mondo. La verità irrita, da qualunque bocca venga pronunciata. Essa spazza via tutte le illusioni con le quali il nostro Io cerca di salvarsi. La verità è dura e tagliente e si adatta poco a sogni sentimentali e autoinganni moralistici.

Nel Sandokai, uno dei testi base dello Zen, si legge:

Luce e tenebre dipende dall’altro si confrontano. come il passo della gamba destra Tuttavia uno da quello della sinistra.

Nello stesso libro leggiamo inoltre questo ammonimento dal titolo ” Invito a non compiere buone opere “. Yang Ciu disse: ” Chi opera cose buone, anche se non lo fa per desiderio di fama, ne conseguirà comunque fama. La fama in sé non ha niente a che fare col guadagno; ma un guadagno indubbiamente ne conseguirà. Il guadagno in sé non ha niente a che fare con la lotta, ma alla fine non potrà evitarla. Per questo il nobile si guardi dal fare il bene “.

Noi sappiamo molto bene che grande provocazione sia mettere in discussione la verità assoluta del fare il bene e dell’evitare il male. Sappiamo anche che questo argomento suscita paura – una paura che si può evitare se ci si attiene alle norme ritenute finora valide. Tuttavia bisognava avere il coraggio di affrontare questo tema e di considerarlo da tutte le angolature.

Non è nostra intenzione distogliere dalla religione, qualunque essa sia, ma il malinteso del peccato, cui abbiamo prima accennato, ha prodotto in ambiente cristiano una scala di valori profondamente radicata, alla quale siamo tutti più ancorati di quanto in genere ci rendiamo conto.

Altre religioni non hanno avuto e non hanno grandi difficoltà con questo problema. Nella trilogia divina induistica – Brahma, Visnù e Shiva – Shiva ha il ruolo di distruttore, e rappresenta così la forza antagonista di Brahma, il costruttore. Una concezione del genere rende più semplice capire il necessario alternarsi delle forze. Di Buddha si narra la seguente storia: un giovane andò da Buddha e lo pregò di accettarlo come suo discepolo. Buddha gli chiese: ” Hai mai rubato? “. Il ragazzo rispose: “mai “. E Buddha di rimando: ” Allora va’ e ruba, e quando avrai imparato a farlo potrai tornare da me “.

Nello Shinjinmei, il più antico e importante testo del buddhismo Zen, si legge al 22° versetto: ” Se ci resta soltanto una concezione minima di ciò che è vero e di ciò che è falso, il nostro spirito va in rovina per la confusione “. Il dubbio che spacca la polarità in contrari, è il male, e tuttavia è anche il giro vizioso necessario per capire e tornare all’unità.

Per la vera conoscenza noi abbiamo sempre bisogno di due poli, però non dovremmo fermarci alla loro diversità e al loro carattere opposto, ma utilizzare la loro tensione come spinta ed energia per trovare il cammino che porta all’unità. L’uomo è peccatore, è colpevole – ma proprio questa colpa lo contraddistingue, perché è il pegno della sua libertà.

Ci sembra molto importante che l’uomo impari ad accettare la propria colpa senza lasciarsene travolgere. La colpa dell’uomo è di natura metafisica e non viene provocata dalle sue azioni: piuttosto la necessità di decidere e di dover agire è l’espressione visibile della sua colpa.

L’ammissione della colpa libera dalla paura di diventare colpevole. La paura è limitatezza e proprio questa impedisce la necessaria apertura ed espansione. Non si sfugge alla colpa sforzandosi di fare il bene, cosa che deve sempre essere pagata con la repressione del polo opposto. Il tentativo di sfuggire alla colpa attraverso le buone opere porta soltanto alla mancanza di sincerità.

La via che porta all’unità esige però più di una semplice paura e una semplice fuga. Esige che noi vediamo con sempre maggiore consapevolezza la polarità in tutto, senza aver paura di attraversare la conflittualità dell’umana esistenza, al fine di riuscire a unire in noi gli opposti.

Non evitare, ma redimere attraverso l’esperienza: questa è la provocazione. Per far questo è necessario porre sempre in discussione l’immobilità dei nostri criteri di valutazione, per capire che il segreto del male consiste in ultima analisi nel fatto che il male in realtà non esiste. Abbiamo detto che al di là di ogni polarità sta l’unità, che chiamiamo ” Dio ” o anche ” luce “.

All’inizio era la luce come unità che tutto abbraccia. Al di fuori di questa luce non c’era nulla, altrimenti la luce non sarebbe stata l’unica cosa esistente. Solo con la polarità nascono le tenebre, al solo scopo di rendere la luce percepibile. Il buio è quindi un puro prodotto artificiale della polarità, necessario per rendere la luce visibile sul piano della coscienza polare. In questo modo il buio serve alla luce, l’alimenta, ” porta la luce “, come ci ricorda il nome di Lucifero. Se sparisce la polarità, sparisce anche il buio, perché non ha un’esistenza sua propria. La luce esiste, il buio no. Per questo la tanto spesso citata lotta tra le forze della luce e le forze delle tenebre non è una lotta autentica, perché la conclusione è da sempre conosciuta. Il buio non può conquistare la luce. La luce però trasforma continuamente il buio in luce – motivo per cui il buio deve evitare la luce se non vuole che la sua non esistenza sia smascherata.

Questa legge si ripete fino al nostro mondo fisico – perché come sopra, così sotto. Supponiamo di avere un locale pieno di luce, e fuori da questo locale regnano le tenebre. Si possono aprire porte e finestre e far entrare le tenebre- ma le tenebre non oscureranno il locale, sarà la luce che trasformerà le tenebre in luce.

Capovolgiamo l’esempio: abbiamo un locale buio circondato fuori da luce. Apriamo ancora una volta porte e finestre: anche questa volta la luce trasformerà le tenebre e riempirà il locale di luce.

Il male è un prodotto artificiale della nostra coscienza polare, proprio come spazio e tempo, e serve a far percepire il bene; è la placenta della luce. Il male non è quindi il contrario del bene, è la polarità in se stessa che è male, è peccato, perché il mondo degli opposti non ha un fine suo e di conseguenza non ha una sua esistenza.

La polarità porta alla disperazione, che del resto serve soltanto alla conoscenza, fa si che l’uomo si renda conto che soltanto nell’unità può trovare la propria redenzione. La stessa legge vale anche per la nostra coscienza. Noi definiamo consapevoli tutte quelle caratteristiche e aspetti di una persona che si trovano alla luce della sua coscienza e che egli può quindi vedere.

L’ombra è quel regno che non viene illuminato dalla luce della coscienza e quindi è buio, cioè inconsapevole. Tuttavia gli aspetti bui sembrano cattivi e spaventosi solo finché rimangono nell’oscurità. Basta guardare i contenuti dell’ombra perché la luce penetri nelle tenebre e ciò che non è consapevole diventi consapevole.

Guardare le cose è la grande formula magica dell’autoconoscenza. Guardando le cose se ne trasforma la qualità, perché in questo modo si porta luce, cioè coscienza, nel buio. Gli uomini vorrebbero sempre cambiare le cose e capiscono con difficoltà che l’unica cosa che viene richiesta all’uomo è la capacità di guardare. La meta ultima dell’uomo – possiamo anche chiamarla saggezza o illuminazione – è la capacità di guardare tutto e di riconoscere che tutto è bene così come è. Un simile atteggiamento significa vera autoconoscenza. Fintanto che una persona viene disturbata da qualcosa o la ritiene bisognosa di cambiamenti, non ha raggiunto l’autoconoscenza.

Noi dobbiamo imparare a guardare le cose e gli eventi di questo mondo senza che il nostro Ego provi subito attrazione o ripulsa; dobbiamo imparare a considerare con animo tranquillo tutti i giochi molteplici di Maja. Per questo nel testo Zen sopra citato si legge che il concetto di bene e male, anche se a livelli minimi, distrugge il nostro spirito.

Ogni valutazione ci lega al mondo delle forme e ci blocca. Finché siamo bloccati, non possiamo essere redenti dal dolore, restiamo colpevoli, restiamo malati. Rimane anche la nostra nostalgia di un mondo migliore e il nostro desiderio di modificarlo. Ed ecco che l’uomo è di nuovo prigioniero dell’illusione dello specchio, perché crede nella non perfezione del mondo e non si accorge che soltanto il suo sguardo è imperfetto, perché gli impedisce di vedere la globalità.

Per questo dobbiamo imparare a riconoscere in tutto noi stessi e ad essere sereni. Questo significa raggiungere il centro della polarità e di qui osservare i poli che pulsano. Questo atteggiamento imperturbabile è l’unico che consenta di guardare le manifestazioni senza valutarle, senza un si appassionato o un no altrettanto appassionato, senza identificazione. Non bisognerebbe però scambiare questa imperturbabilità con l’indifferenza, il disinteresse: è a quest’ultimo atteggiamento che si riferisce Gesù quando parla dei ” tiepidi “. I tiepidi non entrano in conflittualità e ritengono che reprimendo e fuggendo si possa raggiungere quel mondo sano che l’uomo che è davvero alla ricerca tenta duramente di conquistare riconoscendo la conflittualità della propria esistenza e non rifiutando di attraversare questa polarità consapevolmente, cioè imparando, per dominarla.

Egli sa infatti che prima o poi deve conciliare gli opposti che il suo Io ha creato. Non teme le necessarie decisioni, anche se sa che decidendo diverrà sempre colpevole – ma si sforza di non bloccarsi mai.

I contrari non si compongono da soli – dobbiamo viverli in modo attivo per divenirne veramente padroni. Una volta che abbiamo integrato i due poli, diventa possibile trovare il centro e da questo punto iniziare l’opera di unificazione dei contrari. Fuga dal mondo e ascesi sono le reazioni meno idonee a raggiungere questo scopo.

Piuttosto ci vuole il coraggio di affrontare consapevolmente e senza timori le provocazioni della vita.

La parola decisiva in questa frase è ” consapevolmente ” – perché soltanto la consapevolezza che ci consente di osservare noi stessi in ogni nostra azione può impedire che ci perdiamo nell’azione. Non è tanto importante che cosa l’uomo fa, ma come lo fa. La valutazione ” buono ” o ” cattivo ” tiene sempre in considerazione che cosa l’uomo fa. Bisogna invece capovolgere tutto e chiederci piuttosto ” come qualcuno fa una cosa “. Agisce consapevolmente? Coinvolge troppo il proprio Ego? Agisce senza partecipazione personale? Le risposte a queste domande fanno capire se quella persona attraverso il suo modo di agire si lega o si libera.

Ordini, leggi e morale non conducono l’uomo alla perfezione. Essere ubbidienti è bene, ma non basta, perché bisogna sapere che anche il diavolo è ubbidiente. Divieti e ordini sono giustificati soltanto finché l’uomo non è cresciuto a livello di coscienza e non è in grado di assumersi la responsabilità di se stesso.

Il divieto di giocare coi fiammiferi è giustificato per i bambini piccoli, ma diviene superfluo quando crescono. Quando l’uomo trova in sé la propria legge, si libera da tutte le altre. La legge più autentica di ogni individuo è trovare il proprio centro, il proprio Sé, e realizzarlo, ovvero diventare una cosa sola con tutto ciò che esiste.

Lo strumento che serve a unire gli opposti si chiama amore. Il principio dell’amore è aprirsi e lasciar entrare qualcosa che fino a quel momento era fuori. L’amore tende all’unione – l’amore vuole fondere, non separare.

L’amore è la chiave per unire gli opposti, perché trasforma il Tu in Io e l’Io in Tu. L’amore è un dir di si senza limitazioni e condizioni. L’amore vuole diventare una cosa sola con tutto l’universo, e finché questo non ci riesce, non abbiamo ancora realizzato l’amore. Finché l’amore sceglie ancora, non è vero amore, perché l’amore non separa, mentre la scelta separa. L’amore non conosce gelosia, perché non vuole possedere: vuole soltanto manifestarsi.

Simbolo di questo amore che tutto abbraccia è l’amore con cui Dio ama gli uomini. Non è concepibile che Dio suddivida il suo amore in modo differenziato. A nessuno verrebbe in mente di essere geloso perché Dio ama anche un altro. Dio – l’unità – non distingue bene e male – e per questo è l’amore. Il sole invia il suo calore a tutti gli uomini e non spartisce i suoi raggi a seconda dei meriti. Soltanto l’uomo si sente chiamato a gettare pietre – ma non dovrebbe stupirsi del fatto di colpire sempre soltanto se stesso. L’amore non conosce impedimenti, l’amore trasmuta. Amate il male – e il male sarà redento.

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Malattia e Destino Parte III