Psicosomatica e mal di schiena: quando le emozioni gravano sulla schiena

Magari un “SI” detto per non deludere l’altra persona, per assumerci una responsabilità che dentro di noi sentiamo troppo grande, o non ci sentiamo pronti ad affrontare, può trasformarsi poi in un “NO” espresso dal nostro corpo, magari con un improvviso dolore localizzato a livello della colonna vertebrale.

Vi è mai successo di attraversare un momento difficile e di avere la sensazione fisica di portare sulle spalle il peso dei problemi?

È come se lo stress e l’ansia si traducessero in una continua e dolorosa contrattura che colpisce la muscolatura dell’area collo, spalle, reni e lombo-sacrale.

Perché non riusciamo a sciogliere i muscoli e la terapia con anti-infiammatori ci concede solo un temporaneo sollievo?

Ormai da tempo la psiconeuroimmunologia ha chiarito che mente e corpo si influenzano reciprocamente e che la schiena è lo specchio del nostro rapporto con la vita con tutte le sue implicazioni neurologiche ed emotive.

Questo significa che non sempre il mal di schiena è riconducibile a patologie specifiche di ossa, muscoli o articolazioni, spesso le cause sono psicosomatiche.

La colonna vertebrale è considerata la forza che ci consente di affrontare tutte le situazioni della nostra vita, rappresenta la sede di sopportazione di tutti i pesi della nostra vita.

Sulla colonna vertebrale noi scarichiamo pesi materiali, ma anche emotivi, molte volte ci carichiamo di impegni e di responsabilità, finché poi non è il corpo a dire “basta”.

Non a caso nel linguaggio quotidiano si dice portare un fardello, metafora che evoca l’immagine di una persona curva sotto un peso.

Infatti molti mal di schiena derivano proprio da sopravvalutazione dei propri limiti: il classico blocco alla schiena arriva all’improvviso, senza magari darci nessun segnale di preavviso, proprio per darci uno STOP, e ci costringe a passare periodi a volte anche lunghi, a letto e senza poter svolgere tutti gli impegni quotidiani.

Non a caso possiamo vedere che le persone tese e ansiose, assumendo posture rigide, sono frequenti a patire contratture e strappi.

In generale sono più facilmente colpite dal mal di schiena le persone molto responsabili, che si fanno carico di ogni problema.

Se siete preda di una costante inquietudine, avete spesso il respiro accelerato e soffrite di insonnia, facilmente l’ansia tenderà a colonizzare le vostre spalle che saranno incassate, dolenti, con le vertebre che si piegano, ora verso destra, ora verso sinistra, alla ricerca di un punto di equilibrio.

Se state affrontando la vita in perenne stato di allarme e vi preoccupate per ogni cosa, la vostra zona lombo-sacrale si paralizza fino a bloccare ogni vostro movimento.

Vediamo in sintesi le tematiche psico-emozionali ed i disagi ad esse correlate.

Da tener presente che in molti casi le motivazioni associate al disagio possono essere inconsapevoli.

Tematiche psico-emozionali ed i disagi ad esse correlate

la psicosomatica del corpoSpalle curve: possibile depressione

La colonna vertebrale è il nostro sostegno, consente di mantenere eretta la parte superiore del corpo ma anche di flettersi, piegarsi, muoversi. Quando si è malinconici, tristi, nostalgici, la schiena si incurva e le spalle si richiudono su se stesse. Come se un fardello di pensieri negativi pesasse sul corpo, la persona appare più bassa ed incassata.

L’azione di “tirarsi su” con la schiena è il primo passo per reagire, e metaforicamente contrastare il peso che ci schiaccia. Possiamo con questo semplice gesto iniziare a migliorare la nostra vita.

Rigidità lombare: poco sesso

La parte bassa della schiena, le vertebre lombari sono collegate al bacino, la zona del corpo degli istinti e degli impulsi sessuali.

Spesso la perdita di mobilità e dolori della parte bassa della schiena sono collegati ad un vivere male l’eros, piuttosto ad una assenza di attività sessuale (con amore).

Bacino bloccato: troppo controllo

Se il bacino fa male e si fatica a muoversi a causa dei dolori che rendono i movimenti rigidi, è possibile che non riusciamo a vivere pienamente i nostri sentimenti.

Probabilmente ci troviamo in una delle seguenti situazioni: non ci accettiamo completamente, temiamo il giudizio degli altri, non riusciamo a vivere, non riusciamo ad esprimere le nostre emozioni. Per migliorare questa situazione è utile provare a lasciarsi andare: un ballo, una serata romantica, un esperienza di coppia senza pensare ad altro, spegnendo la mente.

Torcicollo: litigi

Collo rigido come un tronco, muscoli di collo e spalle immobilizzati, un torcicollo che ci blocca nei movimenti. E’ possibile che ci apprestiamo ad avere un incontro importante, oppure che siamo reduci da un litigio con il nostro partner: forse non vogliamo ascoltare o vedere qualcosa.

Prendere atto della causa del problema può essere il primo passo per una distensione dei muscoli coinvolti

Fitte acute: imprevisti

Una fitta, un dolore acuto, magari le parole che vi vengono in mente sono “trafitto” o “pugnalata”. Facciamo mente locale, forse c’è stato un imprevisto, non necessariamente negativo. La nostra capacità di adattamento è stata messa alla prova, e più questa è bassa, più il dolore sarà intenso. 

Indolenzimento: preoccupazioni

La schiena è l’altra faccia del torace, la sede di cuore e polmoni, la zona dove il soffio vitale del respiro incontra le nostre emozioni.

Una schiena indolenzita o un dolore in mezzo al dorso che affatica la nostra respirazione, possono rivelare una paura a portare dentro di noi ciò che la vita ci offre, oppure preoccupazioni eccessive per il futuro. Esercizi di respirazione lenta e profonda possono aiutarci ad allentare la tensione.

Rigidità: eccesso di responsabilità
Se ci troviamo in stato di tensione emotiva, o di ansia, i muscoli rimangono contratti. Di conseguenza può succedere che i dischi intervertebrali rimangano compressi, impedendoci cosi di flettere la schiena. Le tensioni possono avere diverse cause.

Imparare ad ascoltarci e porci dei limiti è già un buon inizio di cura.

la psicosomatica del corpoRiuscire a comprendere che i malanni fisici dipendono anche da disarmonie psichiche è molto importante, e questo ci insegna che la possibilità di ritornare in piena salute è nelle nostre mani.

Ecco perché è molto importante analizzare che cosa riusciamo a tollerare e cosa no, che responsabilità siamo davvero disposti a prendere e invece quali no. Questa analisi è una parte importantissima del percorso di guarigione.

Quindi cerchiamo di non sforzarci di compiere azioni che in realtà non vorremmo, perché resistendo a oltranza rischiamo col tempo di entrare in uno stato permanente di tensione, con conseguenti ricadute fisiche, in modo particolare proprio sulla schiena.

Anche un aiuto psicologico potrebbe essere utile per trovare sollievo nel liberarsi poco alla volta di un atteggiamento mentale che porta a sentire tutto come un peso e per imparare che il mondo forse non è proprio tutto sulle proprie spalle.

Schiena e gambe: simbologia e ripercussioni sul piano fisico ed emotivo

Durante la crescita, a seconda di come va la relazione con i genitori, alcune emozioni possono restare incapsulate nel corpo, con l’insorgere di alterazioni che inquinano le esperienze successive.

Il nostro corpo è fatto di specifiche zone, ognuna di essa porta in se un pezzo della nostra storia, esperienze passate si raccontano attraverso un linguaggio particolare che difficilmente ascoltiamo. Proviamo ad aprire la comunicazione con le fondamenta del nostro essere; la schiena e le gambe.

Schiena

La funzione della schiena è quella di sostenere come un vero e proprio pilastro l’organismo, rappresenta la parte responsabile del nostro “restare in piedi”.

Anatomicamente la schiena protegge il midollo spinale, i reni, i polmoni, tiene la nostra postura, sostiene i pesi fisici … un bel compito per una parte del corpo che sembra “muta”!

La percezione che abbiamo è di una struttura forte, quasi una corazza che protegge le parti deboli e vulnerabili, come gli organi molli all’interno della pancia.

Istintivamente durante un urto tendiamo ad esporre la schiena per pararci, ma anche il solo pensiero di un impegno faticoso ci fa stare dritti con la schiena.

Parliamo di una zona con una lunga storia, poiché fin dalla gestazione assorbe tracce di esperienze, quali il contenimento, la protezione, il calore, il contatto con l’altro.

Appena venuto al mondo il piccolo viene tenuto proprio dalla schiena, la mano della mamma, infatti, tiene dalla schiena il piccolo quando mangia o durante il bagnetto, ricevendo per più lungo tempo sensazioni di sostegno e di supporto. Essere presi in braccio, per il neonato rappresenta un vero e proprio nutrimento.

Ma come nascono le alterazioni nella schiena?

Durante la crescita, a seconda di come va la relazione con i genitori, alcune emozioni possono restare incapsulate nel corpo, con l’insorgere di alterazioni che inquinano le esperienze successive.

Una mano tremolante, ansiosa o poco sicura nella presa, trasmette al bambino il pericolo della caduta, l’allarme è ben visibile dallo spalancare delle braccia e degli occhi. Viceversa, quando il bambino percepisce sicurezza nell’essere tenuto, si abbandona completamente nelle mani del genitore. O ancora, genitori presi dal lavoro, dai tanti impegni e dal tempo ristretto, per forza di cose non riescono a dedicare tempo sufficiente al contatto con il bambino; la fretta non consente l’abbandonarsi e l’appoggiarsi all’altro.

L’esperienza dell’essere tenuti, non è gratificante.

Ci ritroviamo un adulto con la difficoltà ad appoggiarsi all’altro e nello stesso tempo, con un forte bisogno di poterlo fare. Prova a bastare a se stesso ma poi crolla e si appoggia al primo appiglio. Si finisce per affidarsi a persone sbagliate che approfittano, dando falso sostegno. Si scambia il bisogno antico di totale abbandono, per amore.

Come si manifesta l’alterazione sul piano fisico?

La schiena è irrigidita, le fasce muscolari si sono indurite nel tempo per reggere tutto il peso. La postura resistente come uno stare sull’attenti, frequenti sono le infiammazioni, il contatto non è avvertito come tenerezza ma come invasione, spesso la zona è dolorante.
Le persone iper-controllate non tollerano la percezione di fragilità nella zona della schiena, poiché avvertono il pericolo della caduta, proprio come da piccoli in una presa poco salda.

La schiena è rabbia, controllo e paura. Ma è anche sensualità: nel rapporto col partner si creano momenti di contatto arcaico di benessere totale.

Le gambe

Le gambe ci reggono, ci fanno andare, ci permettono di vivere gli spostamenti della quotidianità, e cosi come tutti gli altri distretti corporei hanno una loro storia evolutiva. E’ dalle gambe che il bimbo viene tenuto appena arrivato al contatto con il mondo, con le gambe viene preso sul fasciatoio durante il cambio del pannolino.

Le gambe sono le prime a muoversi, spingono, si ribellano sfruttando la forza che poi darà inizio ai vari tentativi di tenersi in piedi, di camminare e andare per iniziare il percorso di movimento.

La sensazione di spostarsi nello spazio, le gambe traballanti non sono percepite come tali, tant’è l’emozione della scoperta che il bimbo sta facendo dell’essere indipendente. Saltare dalla gioia è una caratteristica comune a tutti i bambini, cosi come alzarsi sulle gambette per vedere più in su.

Come nasce l’alterazione nelle gambe?

Immaginiamo il piccolo che muove i primi passi … “ATTENTO!” la voce della mamma che poi, con gesti agitati corre ad afferrarlo.

L’ansia del genitore può alterare l’esperienza del tenersi nel bambino, attraverso la trasmissione di un forte senso d’allarme.
Immaginiamo ora, una mamma assente, il bimbo muove i primi passi e cade, si rialza e cade nuovamente senza nessun aiuto.

L’esperienza in questo caso si altera per la mancanza d’appoggio.

Il doversi mantenere da soli in un percorso di indipendenza, può essere contrassegnato dall’ansia o dal dover fare tutto da soli, e quindi dalla paura di sbagliare e “cadere”, irrigidisce la muscolatura delle gambe.

La rabbia e la paura sono stratificate nella memoria corporea, e dalle gambe continuano a raccontarci esperienze ed emozioni vissute, seppur con un linguaggio diverso.

Come si manifesta l’alterazione sul piano fisico?

Di seguito un elenco di possibili alterazioni.

PESANTI
Forse stiamo andando in una direzione faticosa, siamo arenati e non riusciamo a venirne fuori.

RIGIDE
Rabbia e paura di cadere, di doversi portare senza aiuti.

TREMOLANTI
Caratteristiche degli stati d’ansia.

SENZA FORZE

Mancanza di volontà, umore basso e mancanza di consistenza.
Per ascoltare il nostro corpo bisogna aprire le sensazioni, fermarsi, darsi tempo. Impariamo a sentirci!

Perchè sono sempre stanco? Psicosomatica della stanchezza

la psicosomatica del corpoIeri: stanco Oggi: stanco Domani: stanco La prossima settimana: stanco Prossimo mese: stanco Il prossimo anno: stanco Prossima vita: stanco

Sentirsi stanchi non significa necessariamente avere una qualche patologia. I cambi stagionali, ad esempio, con i loro mutamenti di temperatura e di quantità di ore di luce quotidiani, possono portare nell’individuo una elevata stanchezza, prolungata per alcuni giorni.

Anche altri cambiamenti e fattori esterni ed interni come il lavoro, i cambiamenti ormonali, un trasloco, un lungo viaggio, un semplice, ma abbondante pasto, addirittura una vacanza possono portare forte affaticamento scompensando gli equilibri psico-fisici caratteristici di ogni persona.

Per quanto detto il provare affaticamento psico-fisico continuo è un qualcosa di nettamente differente dall’essere afflitti da una, seppur intensa, momentanea stanchezza; solitamente risolvibile con del riposo.

Tale affaticamento assai prolungato assume nella persona la forma di una vera e propria patologia definita “Sindrome da affaticamento cronico” e può essere imputabile ad una menomazione fisica, ad esempio anemia, malattie virali o della tiroide, e/o ad un disagio psicologico.

La stanchezza generale non deve mai essere sottovalutata, anche in assenza di una precisa causa organica, oltre ad essere un fenomeno debilitante può avere ripercussioni serie sulla vita quotidiana (lavoro, rapporti interpersonali, di coppia).

Ci si sveglia, come nei tratti depressivi, già stanchi e a volte ci si ammala molto spesso. Alzarsi più affaticati di quando ci si è addormentati significa che a livello energetico si è verificato uno squilibrio tra consumo e ricarica: le risorse energetiche sono state profondamente intaccate.

La stanchezza cronica

Altra cosa, decisamente più seria, è la stanchezza cronica (CFS: Chronic Fatigue Sindrome) che comprende una condizione costante di stanchezza con presenza di alcuni sintomi particolarmente significativi: febbricola, dolori muscolari e articolari, cefalea, depressione, irritabilità, disturbi cognitivi.

Questa sindrome, molto spesso, è il primo segnale di una depressione, non riconosciuta, caratterizzata da apatia, delusione, crollo di importanti aspettative, mancanza di entusiasmo e di desideri, in breve, il soggetto ha perso la voglia di vivere.

La persona particolarmente affaticata è sempre troppo coinvolta dai suoi pensieri, dalle sue preoccupazioni, timori e paure, a tal punto che la bloccano, consumando completamente la sua energia.

Lo stato emotivo, infatti, è fondamentale per determinare il livello di energia. Quando si vive un’esperienza di depressione, di dolore o di tristezza, il livello di energia tende ad abbassarsi.

Al contrario quando si è felici, allegri il livello energetico sale.

Stanchezza cronica in psicosomatica

La sindrome di stanchezza cronica è il primo (o inizialmente l’unico) segno di una depressione non riconosciuta o molto mascherata che trova nello stato di debolezza l’unica forma, da un lato di espressione, dall’altro di auto-terapia. È il corrispettivo fisico di apatia, disincanto, delusione, mancanza di entusiasmo, ma anche del crollo improvviso di importanti aspettative.

Ci sono però molte situazioni nelle quali non si riconosce nulla di particolare; piuttosto si può osservare che nel modo di vivere abituale di una persona c’è un certo “attrito”: si vive in perdita lieve ma continua di energia (i risultati concreti sono sempre inferiori rispetto alle energie impiegate).
Quando siamo particolarmente scontenti, visto che non possiamo scappare, la stanchezza psicosomatica può essere l’espressione di un inconscio desiderio di fuggire da una vita stressante e insoddisfacente.

La scarsa autostima è un tratto caratteristico di chi viene colpito da sindrome da stanchezza: chi soffre di stanchezza cronica ha spesso di sé un immagine negativa: si percepisce come una persona debole, inferiore agli altri, incapace di cavarsela da solo nella vita.

Convinti di non riuscire ad interessare gli altri per le loro qualità, scelgono inconsciamente di diventare ” speciali” nelle loro debolezze. E il ruolo di “stanco cronico”, può diventare un modo per essere finalmente visti dagli altri, per avere una propria identità, per trovare il proprio posto in famiglia o nella società.

Le situazioni che più frequentemente provocano la patologia sono le seguenti:

  • agire controvoglia e/o contro la propria indole;
  • agire vivendo resistenze interiori e/o trovando continui ostacoli esterni (economici, sociali, lavorativi, familiari);
  • agire sempre in balia di dubbi, paure e ripensamenti;
  • agire contro la morale quando essa è molto sentita;
  • agire seguendo schemi di comportamento tortuosi e nevrotici: per esempio, il dover essere in un certo modo per mantenere un’immagine di sé valida ai propri occhi.

Sindrome della stanchezza, chi è più a rischio

  • Persone che svolgono un’attività in modo intenso e continuativo per molti mesi o anni, concedendosi un riposo insufficiente.
  • Persone che hanno sofferto negli ultimi mesi di patologie debilitanti, gravi o meno, e hanno dedicato poco tempo alla convalescenza.
  • Persone che tentano di ignorare le classiche malattie da raffreddamento dell’autunno/inverno (influenza, bronchite, faringite ecc.) mantenendo la stessa attività di sempre.
  • Persone che soffrono di disturbi del sonno da almeno tre mesi e che non riescono a risolvere il problema oppure lo trascurano.
  • Persone che soffrono di depressione, la quale è tuttavia mascherata dall’iperattivismo o dal senso del dovere.
  • Persone che soffrono di stati depressivi manifesti.
  • Persone che sono animate da molti dubbi e resistenze rispetto all’attività che hanno intrapreso.
  • Persone che si mettono a disposizione degli altri senza mai risparmiarsi davanti a niente.

Cosa fare in caso di stanchezza cronica?

Il manifestarsi della CFS indica, comunque, che le risorse energetiche del corpo sono effettivamente state intaccate e che ce n’è una concreta minore disponibilità.

Perciò “tirare avanti” a tutti i costi, oppure resistere, stringere i denti, banalizzando il problema, è quanto di più controproducente si possa fare. Allo stesso modo però, un breve riposo di uno o due giorni non solo può rivelarsi insufficiente ma addirittura dannoso perché il corpo non fa nemmeno in tempo a fermarsi e subito deve riprendere le sue attività.

E’ necessario pertanto considerare seriamente la possibilità di un periodo non di stacco totale dall’attività, ma di parziale riduzione degli impegni e della velocità con cui vengono affrontati: lentezza che non vuol dire assolutamente immobilità.

Naturalmente le energie riconquistate non devono essere messe al servizio del vecchio stile di vita.

La strategia vincente terapeutica pertanto sarà quella di attivare metodiche psicosomatiche rivolte a migliorare la persona nella sua interezza.

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